Rocco Antonio Beneventani

        Arriviamo ora a raccontare, dunque, del personaggio più rappresentativo e più illustre della Famiglia Beneventani di Sasso.

        Una breve ed essenziale biografia di Rocco Beneventani avevamo provato a stenderla già diverso tempo addietro, in una precedente pubblicazione.

Andrebbe, tuttavia, studiato più approfonditamente (vista la grandezza e la complessità del personaggio e l’articolata e delicata sua attività, quale riformatore e legislatore prima ed alto funzionario dello Stato poi), consultando tanto l’archivio di Stato di Napoli, quanto, più opportunamente, le carte di famiglia, che purtroppo non siamo in grado di fare, poiché i suoi discendenti hanno da tempo tagliato i ponti con il paese natio.

        Ed allora, in questa occasione, vogliamo presentare il personaggio proponendovi la biografia ufficiale che ne fornisce il Dizionario Biografico degli Italiani, della Treccani, seppur succinta (per evidenti ragioni), a firma di Angela Valente,[1] con alcune integrazioni che ci siamo permessi di apportare, per notizie ulteriori in nostro possesso.

        Ed a questa aggiungiamo due necrologi, nello stile della retorica ottocentesca, che comparvero, dopo la sua scomparsa, sul Poliorama Pittoresco e sul Giornale delle Due Sicilie.

 

 

 

Ritratto di

Rocco Beneventani tratto dal Poliorama Pittoresco con dedica di un bel sonetto

 Ben ti conosco al fiammeggiante ciglio

All’ampia fronte e al venerando aspetto,

Onde tu fosti nel terrestre esiglio

Visibil ombra di Divin concetto.

Ma ov’è del tuo saper l’alto consiglio?

Ove il gran cor, la voce, e l’intelletto,

Che metteva ne’ tristi lo scompiglio,

E dei buoni attiravati l’affetto.

 

Ove il tuo genio che agli arcani intento…

 

 

 

BENEVENTANO Rocco Antonio, figlio del Dottore in utroque jure Francesco (e, dunque, nipote del notaio Tommaso, che abbiamo conosciuto precedentemente) e di Maria Sarli, di Abriola, nacque a Sasso il 21 maggio 1777 nella casa gentilizia locata nella via che oggi porta il suo nome.

Studiò diritto ed economia a Napoli, ove conobbe Mario Pagano, F. Conforti, D. Cirillo.

Partecipò insieme ad altri della sua famiglia e a numerosi altri sassesi ai moti repubblicani svoltisi nel suo paese. Nel Notamento dei Rei di Stato si legge a suo carico: “D. Roccantonio Beneventano del Sasso, alla notizia dell’avvicinamento de’ Francesi sparse massime repubblicane. Sparlò della Sovranità e si prestò per la democrazia”. [2]

Fu anche sospettato di aver incendiato, a Sasso, i ritratti dei sovrani, ma questo non poté mai essere provato.

Il 9 marzo 1799 i personaggi più influenti della vita pubblica sassese (fra cui il tenente Don Daniele Doti, Don Donato Coronato, più volte sindaco e, alternativamente, cancelliere, Don Luigi Beneventani ed altri) si presentano per un atto pubblico per testimoniare a favore di Don Roccantonio Beneventani, giovane morigerato che tuttavia è continuamente perseguitato da Don Gaetano Taurisani. [3]

Ufficiale dei militi della Repubblica Partenopea, andò in esilio alla sua caduta, e rientrò a Napoli solo quando la città venne occupata dalle truppe francesi.

Nel novembre del 1806 venne dal re Giuseppe Bonaparte nominato segretario generale dei Demani: posto particolarmente impegnativo in quanto la soppressione della feudalità, decretata con legge del 2 agosto, portava di conseguenza alla rivendicazione e ripartizione delle terre demaniali. Si doveva assegnare ai comuni una porzione di terra equivalente al diritto rappresentato dalle popolazioni, e dividerla in quota fra gli abitanti.[4]

Comuni, feudatari, ecclesiastici erano coinvolti nella questione demaniale: sicché difficilissimo risultava dirimere le innumerevoli liti e discussioni che rampollavano dall’attuazione della legge, per le quali erano arbitri i commissari ripartitori, cioè i membri della Commissione nominata per la ripartizione delle terre demaniali. Contro il deliberato dei commissari gli interessati potevano ricorrere al Consiglio di Stato; e l’esser stato il Beneventani chiamato in seguito proprio alla segreteria del Consiglio di Stato mostra quale stima di dottrina e di imparzialità egli godesse nell’amministrazione dei Demani.

Apprezzato anche quale giurista, il Beneventani venne poi chiamato al ministero di Grazia e Giustizia, come capo divisione: carica anch’essa a quei tempi particolarmente difficile ed onerosa, perché ferveva il lavoro per adattare ed estendere al Regno di Napoli i codici di Francia, e per rinnovare interamente i quadri della magistratura.

Nel 1809 passò al ministero dell’Interno, collaboratore di Giuseppe Zurlo, del quale meritò la fiducia e l’amicizia. Con lo stesso Zurlo fu nel 1810 in Calabria al seguito di Gioacchino Murat, in quella spedizione in Sicilia che, se non raggiunse lo scopo di sottrarre l’isola  agli Inglesi e ai Borboni, fu pur sempre onorevole per i soldati e per i consiglieri meridionali del re. Ancora al seguito di Murat, anzi incaricato di redigerne la corrispondenza, il Beneventani fu nel viaggio in Puglia della primavera del 1813; in quella occasione venne nominato grande referendario del Consiglio di Stato e ottenne l’Ordine delle Due Sicilie.

Sempre al seguito del re, negli ultimi anni della fortunosa carriera, contrasse amicizia con molti personaggi del suo seguito, tra i quali Pellegrino Rossi.

Come quasi tutti i murattiani, e come lo Zurlo stesso, entrò a far parte della massoneria, della quale nel 1813 era maestro, come risulta dalle carte della polizia borbonica.

Che fosse poi sempre fra i più attivi e capaci murattiani ci dice la sua nomina a posti particolarmente delicati e difficili: la presidenza della Commissione per la riforma dell’amministrazione dei dipartimenti dell’Ombrone, del Reno, del Rubicone, del Metauro e del Musone, testé annessi al Regno di Napoli (27 marzo 1813), e la Intendenza provvisoria di Teramo, quando negli Abruzzi serpeggiava la minaccia di guerra civile promossa dai carbonari e dalla propaganda borbonica (28 aprile 1814).

Nel 1814 era Prefetto del Mediterraneo.

Il 20 febbraio 1815 Il Gran Cancelliere dell’Ordine delle Due Sicilie annunzia al Signor Rocco Beneventani, relatore al Consiglio di Stato, che S. M. lo ha decorato con medaglia d’onore. Napoli.

Restaurata a Napoli la dinastia dei Borboni, il Beneventani patrocinò, quale capo divisione del ministero dell’Interno, quella legge che il 12 dicembre 1816 ribadì l’eversione della feudalità, asserendo che la sua necessità era stata avvertita fin dai secoli lontani, e che d’altra parte tornare indietro non era possibile senza scompaginare e rovinare irrimediabilmente l’assetto finanziario del Regno.

Difatti il 18 aprile 1817 D. Rocco Beneventani, fu nominato, dal Segretario di Stato ministro degli affari interni,  Uffiziale del Secondo Ripartimento dei Lavori pubblici, nella nuova Amministrazione Civile del restaurato Regno Borbonico.[5]

L’esperienza maturata nell’amministrazione murattiana sarà considerata preziosa ed imprescindibile anche per il ritrovato Regno Borbonico.

Scorrendo la “Collezione di reali rescritti regolamenti, istruzioni, ministeriali e sovrane risoluzioni riguardanti massime di pubblica amministrazione in materia civile, penale, ecclesiastica, amministrativa e commerciale raccolte dal 1806 fino a tutto il 1840  troviamo il Parere del procuratore generale presso la gran corte dei conti del 4 settembre 1817 rassegnato al ministro degli affari interni col quale si determina che lo scolo delle acque del Fucino è non solo di somma utilità, ma bensì di assoluta necessità per la provincia di Aquila. [6] Nel raccomandare di provvedere sollecitamente per i lavori di regimentazione delle acque dell’allora ancora Lago Fucino il Procuratore consiglia di coinvolgere Don Rocco Beneventani. … Nel tempo stesso però saranno ricevute in Napoli ſe offerte anche degli estranei, designandosi a riceverle la persona del signor D. Rocco Beneventani. Così per parte del signor Beneventani , che del sotto intendente di Avezzano , saranno pubblicati dei manifesti di uno stesso tenore, nei quali sarà fatta menzione delle basi del progetto. Scors’i due mesi, i socj o personalmente, o per mezzo dei loro procuratori , si uniranno in sessione innanzi allo stesso signor Beneventani…[7]

E chiude la sua nota con quest’ultima preghiera (che da un’idea di quanta stima, già allora Rocco Beneventani si fosse guadagnata sul campo):…Una giunta superiore sarà creata in Napoli da Sua Maestà, ed incaricata di decidere inappellabilmente qualsivoglia quistione , che riguardi l'opera dello scolo del Fucino. Questa giunta dovrebbe esser composta di tre funzionarj pubblici , uno dei quali dovrebbe essere necessariamente il signor Beneventani , e ciò per due ragioni; primamente perché vi sarebbe così facilità di comunicazione con il ministero, secondamente perché in affari di tal natura vi è bisogno di uomini dotati di agilità, di percezione, di fecondità di espedienti, e di ardore per lo bene pubblico, qualità tutte che si riuniscono nel signor Beneventani.

Intanto Rocco Beneventani, ormai maturo ed affermato funzionario, pensò anche a costruirsi una famiglia. Il 27 settembre 1817 sposò Silvia Albanese dei Castrioti, orfana di Giuseppe Albanese, martire del 1799. [8]

Nel 1820, probabilmente per consiglio di Zurlo, il Beneventani fu scelto dal principe ereditario e reggente Francesco quale intermediario presso Guglielmo Pepe, capo dei carbonari. Il 7 luglio presenziò insieme al barone Nanni alla redazione della “Istituzione della Giunta provvisoria di Governo e dichiarazione aggiunta”.

Poi, disgustato dall’atteggiamento tanto dei rivoluzionari quanto dei governanti, chiese ed ottenne un congedo illimitato dal posto di capo del dipartimento del ministero dell’Interno, rifiutando l’assegno dei due terzi dello stipendio, che gli veniva offerto. L’anno seguente, al tempo della reazione, fu licenziato, né gli venne concessa pensione alcuna.

La stessa sorte toccò anche a suo padre Francesco, che, quale Giudice della Gran Corte Criminale, aveva osato sostenere la tesi assolutoria nella causa contro i rei di Stato di Monteforte.

Nel 1831 Ferdinando II di Borbone, che iniziava una nuova politica riformista utilizzando anche uomini provenienti dalle file murattiane, offrì al Beneventani, che rifiutò, l’intendenza di una provincia; accettò invece la nomina, senza emolumenti, a membro della Commissione per l’ordinamento amministrativo di Napoli.

Nel 1847, rinverdendosi le fortune liberali, venne dal sovrano nominato Consultore di Stato.

Il 13 maggio 1848 Carlo Troya gli comunicò la nomina a pari del Regno, dignità alla quale egli ebbe poi a rinunciare, quale protesta contro la repressione antiliberale.

Continuò tuttavia ad occuparsi di amministrazione fino agli ultimi giorni della sua vita: è del 20 maggio1852 una sua lettera alla principessa di Melissano Anna Francesca Spinelli in cui le assicura l’invio dei documenti all’Intendente della Provincia per gli opportuni provvedimenti.

Morì a Napoli il 21 luglio 1852.

Sul Poliorama Pittoresco G. Marracino scriveva questa bella e delicata necrologia:

    “Rocco Beneventano nasceva in Sasso, in sul finire dello scorso secolo, da ragguardevoli genitori, che ogni sollecitudine adoperavano ed ogni cura per coltivare il suo ingegno.

Dotato da Dio d’una mente felicemente disposta a ricevere i semi di ben diretta educazione, si videro questi ben presto germogliare, e prosperare tanto, da far scorgere in lui uno di quei pochi destinati ad elevarsi alle più alte dignità dello stato.

Di fatto nel fiore dell’età sua fu visto assunto ad onorifiche cariche, le quali egli luminosamente disimpegnò, mostrandosi, ogni di più dotto, ed integerrimo uomo; sicché ebbe in ultimo a meritar di sedere nel Consiglio di Stato.

Non è nostro divisamento di tesserne qui l’elogio, o di narrarne la vita; ma vogliam solo offrire un tributo di pubblica estimazione e riconoscenza ad un uomo, che compiendo sulla terra un’alta missione, lasciò di sé grata e duratura ricordanza.

Rocco Beneventano, padre amoroso di virtuosi ed istruiti figliuoli che mostrano di ereditare degnamente l’onorato nome di lui, compiva gl’imperscrutabili disegni di Dio sulla terra, e nello scorso mese di luglio volava al bacio dell’Eterno.

Spargiamo un fiore ed una lagrima sulla tomba di lui”.

Sul Giornale del Regno delle Due Sicilie del 4 agosto 1852 compariva una necrologia molto più pomposa ed altisonante, con toni di retorica celebrativa:

“Rocco Beneventani nacque di ragguardevole ed agiata famiglia in Sasso intorno all’anno 1779 (1777, N.d.A.), e presso il suo genitore Francesco, magistrato di chiara memoria, imparò le umane lettere, non disgiunte dalle sacre discipline della santa nostra Religione, e le une e le altre impressero in quel tenero e ben fatto cuore orme profondissime, che quindi il sostennero sempre puro e virtuoso nel cammino e nelle traversie di sua vita che Iddio sommise a pruove severe.

   Crescendo negli anni, pari alla pietà si formava il suo ingegno, e dai più ameni, in cui non mediocramente valse, passava a più alti e forti studi sotto la guida di dotti maestri. Quindi alle esatte aggiunse le scienze legali, non fu secondo ad alcuno, principalmente nel ramo amministrativo ed economico che praticò poi con plauso sì generale e con sì cospicuo successo, che meritò il giusto vanto di amministratore solertissimo da quanti in tali materie eran reputati esimii conoscitori.

    Tanta dovizia di cognizioni non poteva rimanere ignota e sterile nel suo paese; onde è che nel 1806 venne prima Segretario Generale dell’Amministrazione del Pubblico Demanio, indi Sottintendente. Proseguendo poi nel nobile arringo de’ pubblici affari, gli si aperse un più vasto campo di azione, passando dall’applicazione delle leggi alla formazione di esse, dalla periferia al centro, dai fatti ai principii, dall’azione alla meditazione, dal distretto ai Ministeri di Stato. Così divenne in quello di Giustizia capo di una branca dei suoi vasti servizi, e poi in quello dell’Interno con egual grado diede principio a quella serie di lavori amministrativi de’ quali rimangono sì chiari ed utili vestigi nelle leggi, ne’ regolamenti, nelle amministrazioni comunali, nelle officine del Pubblico Demanio, ne’ monti frumentarii, in quanto si attiene alla guida degli interessi, all’esattezza de’ conti, alla severità delle spese e degli introiti del comune e della provincia.

Chi in ciò particolarmente, chi di lui si valse?

Né i Ministri soltanto con le loro svariate ingerenze occuparono il degno uomo; ma non vi fu materia, non peculiare commissione che a sì fatte dottrine avesse attinenza, a cui egli non fosse chiamato per la copia della sua dottrina, e per la pratica ed operosa esperienza.

Così venne formandosi intorno all’egregio uomo quella generale estimazione, quel rispetto profondo per l’integrità del suo nobile carattere, quella fidanza nei suoi onesti principii, che più tardi gli meritarono dalla clemenza di Re Ferdinando II, pio ed augusto regnante, l’alto onore di seder Consigliere nella Real Consulta de’ Dominii di qua dal Faro.

In tal posto fu veduto sempre laborioso sostenere il giusto e l’onesto, mostrarsi uomo probo e sapiente a un tempo, applicando alle pubbliche faccende il suo sapere economico e legale.

Battuto da acerbo e feral morbo, non perciò ristette dal lavoro, tanta era in lui la devozione ai suoi doveri, cui si univano un animo leale, un franco procedere, una delicata e benevolente amicizia verso i suoi colleghi.

Tale fu Rocco Beneventani nella sua pubblica vita, riflesso attenuato tuttoché grande delle sue private virtù.

E il dicano i poveri che soccorse, gli afflitti che consolò, gli amici che amò con sì perseverante effusione di affetti, la famiglia che guidò nella vita pel sentiero della Religione di Cristo e per tutte le umane perfezioni, ed in cui addimostrossi casto ed affettuoso marito, tenero ed amoroso padre, ammaestratore nei più santi precetti, esempio e specchio preclarissimo di tutte le virtù domestiche.

Dopo due anni di crudele infermità, sostenuta con vera fermezza di animo e con angelica rassegnazione, trapassava l’illustre defunto nell’anno settantatreesimo (in realtà aveva compiuto 75 anni, N.d.A.) di sua età.

La Santa Religione Cattolica coi suoi divini soccorsi, con le sue preghiere, con le sue ineffabili consolazioni, l’avviò per i floridi sentieri delle eterne speranze, e come l’aveva sostenuto nelle tribolazioni inseparabili dal corso del vivere umano, così il confortò nel dipartirsi sereno dai suoi più cari, che lasciò immersi nel lutto e nelle lagrime con quanti l’ammirarono nella pubblica e nella privata vita.

Ora egli prega per noi nel soggiorno degli eletti, mentre la sua memoria rimane nei nostri cuori indelebile”.

Fu seppellito nel cimitero di Poggioreale e, per uno strano quanto bel disegno del destino, il busto sulla sua tomba fu realizzato da uno scultore lucano, Antonio Busciolano, di Potenza, che come lui era emigrato a Napoli per poter esprimere tutto il suo talento

“Nel Camposanto di Poggioreale in Napoli – racconta Paolo De Grazia nel suo libro sullo scultore lucano - è il monumento a Rocco Beneventani. È collocato tra i cipressi che fiancheggiano il viale a destra, sotto il grande quadrato. Ha all’intorno una cancellatura in ferro. È semplice per ornamenti e per concezione, ma costò molto per gli scelti marmi che vi furono adoperati, grande per correttezza di forme e squisitezza artistica. Sul grande basamento di pietra scelta, si eleva una colonna in marmo, con base dorica, il toro della modanatura è accuratamente scolpito di foglie di lauro. La colonna porta un’epigrafe: Rocco Beneventani cavaliere – tenne gran tempo alti gli uffici civili – ultimamente quello di consultore di Stato – d’operosa scienza di gentile natura – lavorò leggi nobilissime – onde ancora si governa il reame – al cui bene ed alla virtù seppe solo chinarsi – mite nel resto verecondo pietoso – non dimise mai scontento il poverello – nacque in Sasso addì 21 maggio 1777 – morì in Napoli addì 21 luglio 1852 – d’idropericardia – la moglie Silvia Albanese dei Castrioti – ed i figliuoli Valerio ed Emilio – gli posero questa memoria.  La parte superiore ha un capitello dorico con ricchissima cornice e su questo il busto Beneventani, che poggia tra una ghirlanda di papaver sonniferum, simbolo del riposo. La testa è in parte annerita dalle intemperie; il profilo è fiero e dignitoso, gli occhi espressivi, alta la fronte, fedine corte. È somigliantissimo, come mi diceva un nipote dell’estinto. In generale quel monumento, che il Busciolano fece, si guarda con piacere tra quel bosco di sepolcri e cipressi” [9]

Nonostante gli impegni politici ed amministrativi, che, come abbiamo visto, furono  tantissimi e di grande responsabilità, Rocco Beneventani, come tanti con sangue lucano nelle vene, mantenne un rapporto profondo con il suo paese di nascita, ed ancora dopo oltre cinquant’anni dalla sua emigrazione da Sasso decise di offrire al suo paese un segno del suo affetto: con un istrumento stilato dal notaio D. Bartolomeo Capaldo di Napoli in data 9 luglio 1850, cioè due anni prima della morte, istituì un “maritaggio” a favore di una donzella tra le più povere ed oneste del Comune di Sasso. In questo atto si legge, che: il donante Sig. Consigliere Beneventani intende stabilire un annuo maritaggio in perpetuo nella detta Confraternita sotto il titolo di San Rocco, al quale maritaggio vuole che resti assegnata la rendita netta de’ sopradescritti fondi donati…. Sarà attribuito ogni anno a cominciare dal 1851 in poi nella vigilia della festa del glorioso San Rocco a una donzella del Comune di Sasso scelta tra le più povere ed oneste a giudizio coscienzioso ed assoluto di una Giunta composta dal Priore, dal Padre Spirituale, dal Procuratore della Confraternita, dal Sindaco e dall’Arciprete pro tempore” [10].

Il suddetto “maritaggio” prese il nome di Legato Beneventani e fu assegnato per oltre 60 anni, fino al 1914.

Il primo maritaggio fu assegnato nell’agosto 1851 a Erminia Sica figlia d’ignoti. All’ultimo concorso, del 1914, parteciparono Langone Annunziata di Michele, Scelzo Caterina di Michele, Pontiliano Maria Gaetana, Fiorito Maddalena di Savino e Langone Anna Maria di Francesco. Il sorteggio dall’urna fu affidato al ragazzo Mario Santangelo che scelse in sorte Fiorito Maddalena e Langone Anna Maria. [11]

Ogni anno la Congregazione di Carità pubblicava un manifesto con le norme del concorso e la somma disponibile per la dote. Le fanciulle che desideravano parteciparvi dovevano presentare apposita domanda corredata di:

  • Fede di nascita;
  • Attestato di buona condotta;
  • Una dichiarazione dei genitori o di un prossimo parente della giovane assicurante che la stessa ha effettiva e sicura occasione di prossimo matrimonio;
  • Attestato di buona condotta dello sposo.

Nel caso che più ragazze arrivassero a parità di merito, dovevano essere preferite innanzitutto le ragazze esposte, poi le orfane ed infine le ragazze con genitori.

Nel 1885 i fondi a disposizione del Legato Beneventani erano in grado di fruttare una somma sufficiente per due maritaggi cosicché il Consiglio comunale presieduto dal Sindaco Vincenzo Cristiano, su proposta del Presidente della Congregazione di Carità, il 13 ottobre deliberò che si riformasse il Legato Beneventani “nel senso che dalla rendita annuale che si percepisce dal Gran Libro del debito pubblico, in seguito allo impiego del prezzo dei fondi del detto legato stati venduti, siano fatti annualmente due maritaggi invece di uno…”.[12]

Con Decreto Regio del 3 luglio 1902, su proposta del Prefetto, a seguito di un’inchiesta svolta da un funzionario della Prefettura di Potenza, l’amministrazione della Congregazione di Carità venne sciolta per gravi disordini amministrativi e contabili.

Tuttavia il maritaggio fu assegnato regolarmente ancora per qualche anno.

 

[1] Angela Valente - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

[2]  Pedio T. Uomini aspirazioni e contrasti nella Basilicata del 1799. I rei di stato lucani del 1799, p 299.

[3]  Archivio di Stato di Potenza. Atti Notarili. Distretto di Potenza. II° Versamento. Notaio Francesco Antonio De Luca. Vol. 556. Anno 1799. C. 8 V, C. 9 R.

[4]  Legge del 1 settembre 1806, integrata dal decreto 8 giugno 1807, e regolata poi dal decreto murattiano del 3 dicembre 1808, che ne fissò il procedimento.

[5] Giornale del Regno delle Due Sicilie, Volume 1- Anno 1817, p. 394. Peraltro dalle funzioni nel Ministero degli Interni del Regno non è mai uscito; tant’è che l’8 marzo 1821 introita dalla Tesoreria Generale la somma di 150 (ducati): Giornale del Regno delle Due Sicilie, Volume 1- Anno 1821, p. 292.

 

[6]  Collezione di reali rescritti regolamenti, istruzioni, ministeriali e sovrane risoluzioni riguardanti massime di pubblica amministrazione in materia civile, penale, ecclesiastica, amministrativa e commerciale e pubblicati per cura di Francesco Dias. Borel e Bompard, 1844

[7]  Ibidem. P. 368 … Nel tempo stesso però saranno ricevute in Napoli ſe offerte anche degli estranei, designandosi a riceverle la persona del signor D. Rocco Beneventani. Così per parte del signor Beneventani , che del sotto intendente di Avezzano , saranno pubblicati dei manifesti di uno stesso tenore, nei quali sarà fatta menzione delle basi del progetto. Scors’i due mesi, i socj o personalmente, o per mezzo dei loro procuratori , si uniranno in sessione innanzi allo stesso signor Beneventani…

[8]  Silvia era l’unica figlia superstite di Giuseppe e Maddalena Vestini. Giuseppe Leonardo Albanese dei Castrioti Scanderbeg era nato a Noci, in provincia di Bari, il 30 gennaio 1759, dal Dottore Pietro Antonio e dalla nobile Maria Solome, della vicina Putignano; fece parte del Direttorio della Repubblica Napoletana e fu giustiziato il 28 novembre 1799. Maddalena Vestini , nobile e coltissima donna, figlia di Domenico e …di quella Anna Avallone, contessa, nella cui casa raccoglievasi il fior fiore de’ letterati e degli uomini preclari del tempo – ci tiene a sottolineare Mariano D’Ayala nelle sue Vite degl' Italiani benemeriti della libertà e della patria- La Maddalena Albanese, nata Vestini, fu tra le donne più pregiate, non per gusto di vesti e per capricci di abbigliamenti e di fronzoli, ma per quel rispetto che, senza pedanterie e fasto esoso di letterate,sapevano con grazia riscuotere dagli uomini… Morì a Napoli il 25 febbraio 1845.. Dal matrimonio nacquero tre figli: Fabio che morì ancora fanciullo, Silvia, morta poco dopo il parto ed ancora Silvia, che nacque postuma alla morte del padre ed andò poi sposa giovanissima (17 anni) al più maturo (38 anni) Cavaliere Rocco Beneventani.

[9] P. De Grazia. Antonio Busciolano scultore. Ristampa del 1897 a cura di Giuseppe Pietrafesa. Lavello.

[10] F. Paternoster, Sasso di Castalda – Cronografia, Potenza… pp 57-59.

[11] Archivio Comunale di Sasso. Registro dei maritaggi.

[12] F. Paternoster, Sasso di Castalda – Cronografia, Potenza… pp 57-59.

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