Famiglia Sasso 3 capitolo

Famiglia Sasso 3 capitolo

Per tutto il XII secolo non abbiamo altri documenti o notizie riferibili alla Famiglia Sasso, né all’abitato stesso di Sasso. Un documento dell’aprile 1163, esistente nell’Abbazia di Cava, si riferisce (apparentemente) ad una comunità di uomini liberi che vive nel borgo di Petra Castalda. Di questo ci occuperemo un po’ più approfonditamente in altra occasione.

Per ritrovare tracce della Famiglia Sasso (sempre che sia la stessa!), dobbiamo passare al secolo successivo e spostarci a Potenza.

Una pergamena dell’aprile 1207 ci testimonia l’esistenza  in questa città di un certo Pietro de Saxo (cittadino ed abitante di Potenza), che acquista da Saracina ed Alessandro, cittadini di Potenza, un vigna e una terra in contrada Tora, per il prezzo di quattro soldi:“…Nos Saracina et Alexander de civitate Potencie vendimus et tradimus tibi Petro de Saxo, civi et habitatori Potencie unam nostram vineolam et terrulam sitam in contrata Taure…ego Salustius publicus Potencie notarius…[1].

Un altro rappresentante di questa antica ed illustre famiglia, che ha attraversato la storia di quest’area dei primi secoli del nuovo millennio, lo rinveniamo in una pergamena (che poi è un testamento) dell’agosto 1247: si tratta di Pixonus de Saxo, cittadino di Potenza, padre di Franciscum et Bonam e fratello di Addo, che pure vive in quell’area. “ Anno dominice incarnacionis millesimo duecentesimo quadragesimo septimo augusti sexte indicionis… – recita l’atto –  In presencia Sanctori de Iudice Iordani imperialis iudicis contractuum in Potencia…Pixonus de Saxo, civis Potencie sanus mente licet eger corpore nuncupativum quod sine scriptis dicitur contidit testamentum in quo heredes instituit filios suos Franciscum et Bonam coniugem Alexandri de Camerari”. L’originale – ci precisa A. Pellettieri[2] – si conserva all’Archivio di Stato di Napoli, nel fondo delle pergamene della Società Napoletana di Storia patria (10-BB-1, n° 9); misura mm. 330 x mm. 215 e si presenta danneggiata sui due lati e scurita da macchie di umidità.

Il vero erede è però Francesco, perché Bona, come sempre accadeva, deve accontentarsi della dote avuta, per cui null’altro deve pretendere dal fratello. “…voluit et statuit ut dicta Bona – dice testualmente – sit contempta dotibus suis et si non vuluerit eis esse contempta conferat eas secundum iura et sucedat cum dicto Francisco fratre suo”. [3]

Si ricorda di tutelare la moglie Flamenga, che gli aveva portato in dote otto once d’oro, lasciandole la terza parte dei suoi beni o la restituzione della dote, a sua scelta. “Item voluit et statuit ut uxor sua Flamenga pro dotibus quas recepit ab ea videlicet octo uncias auri quas confessus est igitur solutas et numoratas ab ea vel ab ealia persona pro ea habeat integram tertiam omnium bonorum suorum et sit in eleccione ipsius uxoris quod velit habere unum dictam tertiam vel dotes prenominatas” [4].

Lascia poi vari legati. Ai chierici della chiesa di S. Michele cinque soldi ogni anno, da consegnare l’ultimo giorno del mese di gennaio, ricavabili dalla rendita di una terra che possiede nel territorio di Potenza, in Contrada Tora, (dunque la stessa contrada, Tora, dell’atto di quel Petro de Saxo di giusto 40 anni prima): “…quinques solidos singulis annis, ultimo mensis ianuarii de terra una quam habet et possidet in tenimento Potencie in contrata Tora…”.

Ed ancora tre tarì d’oro all’Episcopio e se interviene personalmente il vescovo ai suoi funerali altri due tarì: “…et si contingat episcopum ad exequias suas accedere legat tarenos duos…”. Non deve essere dunque un personaggio di secondo piano, nella vita cittadina, se si aspetta che intervenga il vescovo in persona alle sue esequie.

Altri due tarì vengono assegnati alla chiesa della SS. Trinità; ancora sette tarì e mezzo alla chiesa di S. Michele; un tarì al sacerdote Costantino; un tarì al Ponte di Torelli; ed infine tre tarì ancora alla chiesa di S. Michele.

Nello stesso atto scopriamo poi che vive a Potenza anche un fratello di nome Addo (con il quale condivide alcune proprietà indivise in contrada Pantano) e la figlia di costui Alessandrina: “…et Adde fratris eiusdem et patris eiusdem Alexandrine”.  lo stesso fratello, insieme al presbiter Stephanus, vengono nominati dal testatore esecutori testamentari [5].

Un regesto di questa pergamena si trova anche in T. Pedio, Cartulario della Basilicata (476-1443), che però la riporta erroneamente all’anno 1227.[6]

Sull’importanza di questa pergamena si era soffermata già nel 1958 Giuliana Vitale in un articolo apparso nell’Archivio Storico delle Province Napoletane di quell’anno. Nel 1247, ad esempio – osserva l’autrice –  un testatore, un tale “Pixonus de Saxo, civis Potencie” possedeva un patrimonio pari a circa 24 once d’oro, un valore davvero notevole, se si considera che il feudo di Avigliano, che contava almeno 16 fuochi intorno al 1277, rendeva nello stesso periodo al suo barone soltanto 3 once d’oro all’anno, compresi tutti i “redditus et proventus”. Lo stesso Pixonus dimostra inoltre  nel suo testamento un certo gusto di fastosi costumi, se tra le altre sue disposizioni pone quella che, dietro adeguato compenso all’episcopio, si induca il vescovo ad intervenire personalmente al suo funerale [7].

Egli è molto probabilmente della stessa famiglia – conclude poi la Vitale –  di quel “Petrus de Saxo” che nel 1207 acquistava una terra ed una vigna nella medesima contrada Taure, nella quale posteriormente troviamo ubicati i terreni di proprietà di Pixonus; fatto che dimostrerebbe una continuità veramente interessante di tradizioni familiari [8].

Qualche anno più tardi ritroviamo un ultimo riferimento a componenti di questa antica e nobile famiglia.

Siamo nel maggio del 1270 e gli Angioini hanno preso pieno possesso di tutto il territorio meridionale. La linea guelfa (quella del Papa) ha prevalso definitivamente e gli ultimi ghibellini superstiti cercano di riparare alla meglio, o fuori dal regno o in luoghi più distanti dai teatri principali di scontro politico-militare e, dunque, un po’ più sicuri.

Così accade per molti cittadini (habitatores) di Potenza, che (come abbiamo visto nel pezzo dedicato ad Eustachio da Matera e la sua Cronica dum destructa fuit civitas Potentina”), per sfuggire all’ira di Carlo D’Angiò ed alle vendette della parte guelfa della città, si rifugiano in diversi borghi della Basilicata, presso parenti o amici, o luoghi d’origine, o ancora presso proprietà fondiarie che possedevano dislocate sul territorio.

Ma anche questi movimenti non sfuggono al nuovo governo, forse più per ragioni fiscali che per code giudiziarie, come si evince da un documento datato 8 maggio 1270 in cui la Cancelleria Angioina manda all’Erario e Iustitiario di Basilicata un corposo elenco di cittadini che sono fuggiti da Potenza, perché siano costretti a far ritorno a Potenza, insieme alle loro famiglie, nel termine massimo di un mese.[9]

Scriptum est eidem (Iustitiario et Erario Basilicate). Intellexit Excellentia nostra quod subscripti dudum habitatores Potencie, ipsius terre incolatu dimisso, se ad habitandum ad subscriptas terras jurisdictionis tue cum eorum familiis transtulerunt, tam in diminutione servitiorum et iurium Curie nostre, quorum executionibus occasione ipsorum absentie eximuntur, quam dispendium aliorum fidelium nostrorum eiusdem terre, qui necessario subferre coguntur in pluribus onus absentium eorundem. Quare mandamus] quatenus eos omnes ad reducendum ad terram eandem incolatum ipsorum et morandum ibidem cum familiis et bonis suis... compellas, iniungens dominis locorum in quibus morantur ... et universitatibus ... eorundem locorum... quod omnes ipsos ad plus infra mensem unum... de terris ipsis eiciant... Processum vero tuum... per licteras tuas... Ma g. Rationalibus ...scribas, et... elapso pred. termino... inquiras si forte in executione ipsius mandati se contumaciter gesserint etc.

L’elenco è davvero molto dettagliato (Nomina vero et cognomina eorundem absentium et loca in quibus morantur sunt hec). Fra questi fuggitivi troviamo Urso de Saxo che ha trovato riparo a Tito (In terra Tity: …Urso de Saxo…), forse perché i possedimenti di famiglia in contrada Tora si estendevano anche nel territorio di Tito.

 

 

[1] A. Pellettieri, Le Pergamene di Potenza, in “Tarsia” n° 20. Anno 10-11. Perg. 4. Un regesto di questa pergamena si trova anche, per altro con delle imprecisioni, in T. Pedio, Cartulario della Basilicata (476-1443). Citato, vol. I, p  219.

[2] A. Pellettieri. Le Pergamene di Potenza, citato, pp 89-90.

[3] A. Pellettieri. Le Pergamene di Potenza, citato, p 89.

[4] A. Pellettieri. Le Pergamene di Potenza, citato, p 89.

[5] A. Pellettieri. Le Pergamene di Potenza, citato, p 90.

[6] T. Pedio, Cartulario della Basilicata (476-1443). Vol. I, p  240

[7] G. Vitale, Potenza nel cozzo tra Svevi e Angioini per il possesso del Regno di Napoli, in “Archivio storico per le Province Napoletane”. N° LXXVI. Anno XXXVII n.s. 1958, p 141.

[8] G. Vitale, Potenza nel cozzo tra Svevi e Angioini per il possesso del Regno di Napoli, citato, pp 141-142.

[9] I Registri della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli Archivisti Napoletani; Vol. V (1266- 1272), pp. 19-22

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