Famiglia Sasso

Vi proponiamo questa settimana un argomento più intimamente campanilistico: la storia di una grande famiglia sassese che attraversa i secoli XI e XII, per finire nel XIII secolo proprio nelle vicende raccontate con tanta passione da Eustachio da Matera a proposito del furore angioino che si abbatté su Potenza nel 1268.

E tuttavia, come sempre accade scandagliando la storia “minore” dei nostri luoghi, si finisce per incrociare, inevitabilmente i grandi personaggi ed i grandi avvenimenti, i cambiamenti epocali della storia “maggiore”. E talvolta si finisce inconsapevolmente coinvolti in qualche disputa documentaria o diplomatica, che è andata avanti per secoli. È quello che vi raccontiamo in questo (e nei successivi due appuntamenti).

Parliamo della Famiglia Sasso (De Saxo), distinguendola dall’altra famosa Famiglia Sasso, di origine abruzzese, che fiorì proprio sotto gli angioini.

E, nel raccontare di questa antica famiglia, vi esporremo anche la prima documentazione che parla di Sasso (Saxum, de Saxo); con grande soddisfazione, perché questo documento lo cercavamo da tempo immemorabile.

In altra occasione avevamo riferito di aver trovato, fra le tante notizie sulla Basilicata fornite dal padre della nostra storiografia, Giacomo Racioppi, un riferimento a Sasso per l’anno 1068: una carta greca (sue testuali parole), che però non produce e non ne riferisce la fonte.[1] Immaginatevi con quanta tenacia e quale ostinazione abbiamo cercato questa carta greca che cita anche il Gattini,[2] probabilmente riprendendo semplicemente il Racioppi. Fatica inutile e tempo e sudore sprecato, perché fuorviati dai due storici citati sopra: cercavamo fra i documenti che facessero riferimenti a personaggi, chiese, laure o abitati di tradizione greco-bizantina di questo territorio, che pure siamo convinti ci fossero, ma cercavamo carte sbagliate nel territorio sbagliato. Finché la disperazione ci ha indotto a cercare fra gli Annalisti e finalmente ne abbiamo raccolto i frutti: Padre Alessandro Di Meo, nell’ottavo dei suoi dodici tomi degli Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli della mezzana età, alle pagine 85 ed 86, cita un documento, che risulta essere un atto famoso e molto contestato, dell’agosto 1068 in cui fra i testimoni appare Oddo de Saxo, il primo personaggio di questa antichissima, illustre famiglia, che ci accingiamo a raccontare.

Questo atto venne pubblicato con dovizia di particolari e commenti in un volume dal titolo“Esistenza e validità de' privilegj Conceduti da’ Principi Normanni alla Chiesa Cattedrale di Tricarico per le terre di Montemurro, ed Armento Vindicate dalle opposizioni de moderni Critici da Antonio Zavarroni Vescovo Della Chiesa Medesima, Napoli, XXX Maggio MDCCL”. È citato l’atto di donazione del 1068, riscritto nel 1070, con cui Roberto di Montescaglioso dona alla Diocesi di Tricarico, appena recuperata al rito latino, Montemurro, Armento ed altri casali, oltre a chiese, monasteri ed altri privilegi.

E qui ci siamo lasciati trascinare volentieri nella dotta disputa legale che fino all’eversione della feudalità ha coinvolto la Diocesi ed i vescovi di Tricarico, in Basilicata, quali signori feudatari di Armento e Montemurro e potenti famiglie aristocratiche del Meridione (Sanseverino, Guevara, ecc.), che nel corso dei secoli, con vari tentativi, hanno tentato di usurparne i privilegi feudali risalenti a metà dell’XI secolo e sempre confermati e legittimati dai regnanti succedutisi sul trono di Napoli (Normanni, Svevi, Angioini ed Aragonesi).

Gli atti non sono in originale ma estratti da un Privilegio di Carlo II D'Angiò.

Correva l’anno 1306 ed il vescovo di Tricarico dell’epoca fu costretto a recarsi con la documentazione in suo possesso alla Corte di Napoli per ottenere la riconferma dei privilegi concessi, 150 anni prima, da Roberto di Montescaglioso alla sua diocesi; così come già avevano fatto i suoi predecessori, nel 1135 con Re Ruggiero, nel 1162 con Re Guglielmo e nel 1222 con l’Imperatore Federico II. Naturalmente non sorse nessun ostacolo alla riconferma di tutti i privilegi esibiti: proprio gli Angioini non avevano nessun interesse e nessuna volontà di mettersi contro la Chiesa che li aveva esortati a scendere in Italia e li aveva investiti della Corona di Napoli. L’atto di riconferma è suggellato da un altro grandissimo, straordinario personaggio della storia di Napoli, a cavallo fra duecento e trecento, che ha avuto a che fare con Sasso (come abbiamo avuto già modo di sottolineare in altra occasione)[3]: il Protonotario, Logoteta e Professore juris civilis all’Università degli studi di Napoli, Bartolomeo De Capua.[4] Di più: gli atti furono trascritti, per maggior cautela.

Ma qui noi pensiamo (anche se non è scritto da nessuna parte) che piuttosto si rese necessario tradurli in lingua latina, dagli originali in greco; è verosimile che i tabellioni (notai) dell’epoca, in quel territorio appena strappato al rito greco-bizantino, si esprimessero più correntemente ed abitualmente in greco. Ed è altrettanto verosimile che, 150 anni dopo, si avvertisse la necessità, per una maggiore comprensione dei posteri, di darne una versione latina.

Questo renderebbe giustizia all’affermazione di Racioppi che parla di carta greca risalente all’anno 1068, avendo avuto questa intuizione prima di noi; ed a noi sollievo alle nostre fatiche per trovarci a ragionare in simile compagnia.

Sappiamo, dall’inventario che Monsignor Santonio, vescovo di Tricarico, fece delle carte della sua diocesi nel 1588, che esisteva un trittico di donazioni di Roberto, Conte di Montescaglioso, per l’anno 1068 ed una sorta di riepilogo, con alcune aggiunte o specificazioni, per l’anno 1070.[5]

La prima pergamena rinvenuta da Monsignor Santonio per l’anno 1068 (Donatio facta per Robertum Comitem Montis Caviosi de tenimmento Cognati anno Domini 1068), risulta definitivamente perduta.

Della seconda pergamena, datata 4 agosto 1068, catalogata dal Santonio come Donatio Cafalis Armenti facta Ecclesiae Tricaricen a Comite Roberto Anno 1068, ne proponiamo l’incipit e le sottoscrizioni:

…Ego Robertus Comes Montis Scabiosi…statim convocato Arnaldo, ejusdem prædictae Ecclesiæ nunc Episcopo in præsentia Baronum meorum, & meae Uxoris Amelinæ, & Domini Madaleni Abbatis Sanctæ Sofiae de Benevento tradidi eidem Arnaldo prædictæ Ecclesiæ Episcopo…quod scriptum præcepi Bartolomeo meo Notario scribêre, sigillari plumbeo meo Sigillo, & dari prædicto Domino Arnaldo Præsuli Anno ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi, Millesimo Sexagesimo octavo, Inditione sesta, quarto Idus Augusti.

Ego Guglielmus Montis Scabiosi Dominus Birini Testis sum.

Ego Madalenus Abbas Sanctae Sofiae de Benevento Testis sum.

Ego Raynaldus de Malaconvenientia Testis sum.

Ego Unfredus de Montescabioso Testis sum.

Ego Odus de Saxo Testis sum.

Ego Goffredus Britannus Testis sum.

 

E lo stesso facciamo per la terza (ed ultima) pergamena del 1068 (Donatio Terræ Montismurri facta a Roberto Comite Montis Caviosi de Anno 1068), anche questa datata 4 agosto:

Alterius vero tenor talis est …Ego Robertus Comes Montis Scabiosi, Dei annuente misericordia, & Dominator, & Gubernator Tricaricenfis Civitatis …donum hoc feci Sanctæ Mariæ Tricaricenfis Ecclesiæ ante præsentiam Domini Madaleni prædicti Abbatis Sanctæ Sofiae de Benevento, & aliorum, qui subtus Testes subscripti sunt, & præcepi Petro Acorontino meo Notario scribere illud, & dari prædicto Arnaldo Præsuli, anno ab Incarnatione Domini nostri Jesu Christi millesimo sexagesimo octavo,indirione sexta, 4 Idus Augusti…

Ego Madalenus Abbas Sanctæ Sofiae de Benevento Testis sum.

Ego Raynaldus de Malaconvenientia Testis sum.

Ego Ufredus de Montescabioso Testis.

Ego Oddo de Sasso Testis.

Ego Gof{redus Britannus Testis.

 

Della pergamena del 7 aprile 1070, che Monsignor Santonio cataloga come  Instrumentum multorum Privilegiorum Ecclesiae Tricaricen factum a Roberto Comite Montis Caviosi de Anno 1070, riproponiamo, allo stesso modo, incipit e sottoscrizioni, che ci interessano:

Tertii autem Privilegii series talis est. In nomine Domini amen. Ego Robertus Dei annuente misericordia Comes Montis Scabiosi Dominus, & Gubernator Civitatis Tricarici rogatus à te, Domine Arnalde Venerabilis Episcope Civitatis Tricarici, & Clero tuo, ut Ecclesiam Sanctæ Mariæ de Episcopio ejusdem Civitatis, quam de novo reædificaveram, & doti bus ampliaveram, cum tempus conservazionis inastare debere Privilegio libertatis ,& immunitatis regnare tuis igitur praecibus inclinatus, cogitans, quod..…ut hoc Privilegium robur obtineat firmitatis tibi Alexandro publico Curiae nostrae Notario scribi, mandavimus, & sigillo nostro plumbeo sigillari cum subscriptionibus Baronum, qui interfuerunt, & quicumque hoc privilegium libertatis, & immunitatis in parte, velin toto infringere praesumpserit decem libras auri Altari Beati Petri, & totidem Altari Beatae Mariae Tricaricensi componat.

Scripsi ego Alexander publicus Notarius de mandato eiusdem Comitis, qui omnibus iis interfui, & meo signo signavi. Datum Tricarici in Palatio eiusdem Domini Comitis Ruberti, de mandato suo assignatae idem Domino Arnaldo Praesuli Tricaricensis Ecclesiae,Clero suo praesentibus Baronibus, & Testibus infrascriptis, Anno ab Incarnatione Domini Nostri JesuChristi, Millesimo Septuagesimo Inditione septima mensis Aprilis.

Ego Paulus Montis Scabiosi Judex Tricarici, & Curiae praedicti Domini Comitis, qui omnibus praedictis interfui, & Testis sum.

Ego Guglielmus Montis Scabiosi Dux Bujani Testis sum.

Ego Rainaldus de Malaconvenientia Testis sum.

Ego Odo de Sasso Dominus Roccae, & Petrae delbunae Testis sum.

Ego Goffredus Comestabilis Montis Scabiosi testor.

Ego Goffridus Britannus Dominus Stiliani Testis sum

 

Tutti gli atti, come è facile notare, sono firmati da Oddo de Saxo, che si trova in buona compagnia.

Anche Ferdinando Ughelli, nella sua monumentale “Italia Sacra…” riporta integralmente e trascrive (allorquando racconta la storia della Diocesi Tricaricense), le due pergamene del 4 agosto 1068. Riporta nella primaEgo Oddo de Saxo Testis” e nella secondaEgo Oddo de Sasso Testis sum”.[6] Li ritiene dunque autentici o verosimili! Non cita la pergamena del 1070, che costituisce solo un’integrazione e conferma di quelle del 1068.

Non dello stesso avviso è invece Alessandro di Meo, che le ritiene false. A conclusione dell’analisi delle due pergamene del 1068, che riferisce di esaminare direttamente nell’Arcivescovato di Acerenza, annota sulla prima: …Scrive Bartolommeo suo notaio, e con suggello di piombo. Si soscrivono Guglielmo di Monte Scabioso, Signor di Bivino, Madelmo Abbate di Santa Sofia di Benevento, Rainaldo di Malaconvenienza, Onfredo di Monte Scabioso, Odone de Saxo, Goffredo Britanno…; e sulla seconda: …Con tutte le stessissime note, e con tutte le stessissime parole, eccetto i nomi, e confini di Armento, si dona questo Armento allo stesso vescovo…Scrive Pietro di Acerenza suo notaio. I testimoni sono gli stessi.

Poi chiosa: Più cose, che non mi permette il tempo di esaminare, ed esporre,, fanno, che le creda tutte e due supposte, e specialmente, che quasi tutte le carte di Tricarico di questi tempi puzzano d’impostura.[7]

Insomma una bocciatura su tutta la linea, per tutto il meticoloso lavoro di ricostruzione del povero Monsignor Zavarroni. E senza appello!

Ed a noi resta l’amaro in bocca, perché, dopo aver finalmente trovato quel primo riferimento a Sasso, ce lo vediamo svanire così, bollato d’impostura.

E dire che cominciavamo ad ostentare un pizzico di orgoglio nel sapere Oddo, o Oddone, Ottone de Saxo in così prestigiosa compagnia.

Prescelto fra i pochi testimoni di un atto di donazione, che segna di fatto la storia della chiesa lucana: dopo secoli di tolleranza longobarda per la presenza di chiese, laure e perfino diocesi di rito greco, nelle nostre terre, i nuovi signori normanni hanno fretta di legittimare il loro potere assecondando l’espansione del culto romano e dimostrare la loro amicizia e sottomissione al papa;[8] per cui la nomina del primo vescovo di rito romano, Arnaldo, nella Diocesi di Tricarico, viene premiata e suggellata da una donazione straordinaria, esagerata. Chiese, monasteri e privilegi in tutta l’area vengono sottoposti all’amministrazione del vescovo di Tricarico; e finanche due importanti feudi (Armento e Montemurro, di antichissima tradizione ortodossa) vengono assoggettati alla Diocesi in Allodium, e con tutta la Giurisdizione Civile, e Criminale.

La donazione, peraltro, è fatta da uno dei signori più potenti del tempo, Roberto di Montescaglioso, figlio di una sorella del Duca Roberto il Guiscardo e, dunque, nipote di Tancredi di Altavilla, vivo negli anni 1068 e 1070, e morto nell'anno 1080, titolare di una contea, quella di Montescaglioso, fra le più importanti e strategiche del regno normanno. Questa contea contava, fra le tante Terre e Casali, anche la signoria della città di Tricarico e Roberto, con il consenso della moglie Amelina e l’approvazione dei baroni suoi vassalli, vi volle fondare una nuova cattedrale. La Chiesa Cattedrale di Tricarico – ci racconta monsignor Zavarroni – quando era di rito Greco, secondo la tradizione di questo Popolo, era la Chiesa di S. Pietro, oggi diruta. E perché era picciola a riguardo del Popolo, e di bassa struttura, Roberto Conte di Montescaglioso, e Signore della Città di Tricarico ne fece edificare un'altra vicino al suo Palazzo più bella, e più magnifica …È perché colla fondazione di questa nuova Cattedrale,andava ingionto I'obbligo, o almeno la convenienza di dotarla, le donò nell'anno 1068 oltre la Difesa di Cognato, due Terre, Montemurro ed Armento, con tutti i suoi Vassalli, e Territorj, e con tutti que' Diritti, Dazj, e Collette, che egli ne esigeva, come si scorge dal Privilegio della donazione d'Armento, cui in sostanza è uniforme l'altro della donazione di Montemurro.[9]

Una donazione strategica, dunque, per i nuovi dominatori normanni, sia per la consistenza materiale, che per il valore simbolico, perché sancisce il passaggio da un’era ad un’altra, tanto in termini di culto, di potere spirituale, che di potere temporale. E l’importanza di questo atto è suggellata anche dal prestigio dei testimoni, fra cui Dominus Madalenus Abbatis Sanctæ Sofiae de Benevento, il Monastero forse simbolo della dominazione longobarda nel Sud; e Raynaldus de Malaconvenientia, che ha attraversato da sicuro protagonista la storia del mezzogiorno normanno.

E fra questi ci faceva enormemente piacere trovare Odo de Sasso Dominus Roccae, & Petrae delbunae, così come specificato nell’atto dell’aprile 1070. Ci siamo convinti che“delbunae”probabilmente è la cattiva interpretazione e trascrizione di “de Acinae” e lascia intendere che Oddone di Sasso è Signore tanto di Rocca d’Acino che di Petra d’Acino, due casali scomparsi dell’area. Questo giustifica anche la sua presenza all’atto e la sua testimonianza, perché tanto Rocca d’Acino che Petra d’Acino fanno parte delle Terre e Casali coinvolti nell’atto stesso.

Sembrava delinearsi la figura di un condottiero normanno, forse di alto lignaggio, che già signore del Sasso, da cui gli proveniva il cognomine, avesse ottenuto per particolari meriti politici e militari, o per vicinanza agli Altavilla, anche la signoria di Rocca d’Acino e Petra d’Acino.

Ed ora tutto in fumo? Solo carte falsificate?

Non proprio.

Il seguito, con sorpresa, alla prossima puntata!

 

 

 

[1] Racioppi G.. Storia dei Popoli della Lucania e della Basilicata. Ed. Loescher e C. Roma 1889; voce Sasso.

[2] Gattini G. Delle Armi de’ Comuni della Provincia di Basilicata. Tip. Conti. Matera 1910; voce Sasso.

[3] R. Perrone. Populus Petre que cognominatur de Augustaldo. RCE Editore, Brienza 2006; pp.

[4] Datum verò Neap, per manus Bartholomaei de Capua militis Logothete, & Prothonotarii Regni Siciliae Anno Domini 1306. die 14 Maii 4. Indict. Regnorum noſtrorum anno 22 feliciter Amen. In Esistenza e validità de' privilegj…citato; Appendice, p 19.

[5] Inventario Delle Scritture dell'Arcbivio della Cattedrale di Tricarico eflratto dalla visita di Momfignor Gio: Battiista Samtomio Vefcovo di Tricarico.Die Mercurii 24. Februarii 1588. Ibidem; appendice, p. 32

[6] Italia Sacra Sive De Episcopis Italie, Et Insularum Adiacentium. Tomus Septimus. Comple&tens Metropolitanas, earumque saffraganeas Ecclcsias, quae in Lucaniae seu Bafílicatae & Apuliae tum Dauniae, cum Peucetiae Regni Neapolitani preclaris Provinciis continentur. Auсtore Ferdinando Ughello Florentino Abbate SS. Vincentii & Anastasii ad Aquas Salvias Ordinis Cisterciensis, & Sacrae Congregationis indicis Consultore. Venetiis, Apud Sebaftianum Coleti. MDCCXXI. pp.146-148

[7] Di Meo A. Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli della mezzana età. Napoli. Stamp. Orsiniana. Napoli 1795-1819. Tomo 8, pp. 85-86

[8] Questa situazione di subordinazione (nel vero significato del termine)del regno normanno al papato, sarà poi la causa di tutti i guai e le guerre fra Federico II (ed i suoi successori) con tutti i papi che si susseguirono in quei tempi.

[9]Esistenza e validità de' privilegj…, citato; pp 9-10.

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