Un trittico di documenti sul seicento sassese

Un trittico di documenti sul seicento sassese

Chiudiamo finalmente questa sorta di trilogia sul seicento sassese con la presentazione di un trittico di documenti datati, a distanza di pochi anni l’uno dall’altro, fra seconda metà del XVII secolo ed inizio del secolo dei lumi.

Un primo documento è un Apprezzo datato 11 gennaio 1676 e costituisce una minuziosa descrizione della Terra del Sasso e dei suoi abitanti, fatta da un anonimo Tavolario, per conto dei feudatari di Atena.[1]

Ve ne riportiamo integralmente i passi più significativi.

 “…li territorj sono parte piani semenatorj, con vigne, parte boscati con montagne…nelle quali ne nascono grani, orgi, ed altre fonte di vettovaglie quali sono bastanti per il vitto di essi.

Risiedono in luogo eminente l’abbitazioni dell’abbitanti di detta Terra e proprio al Ponente, gli sono con bassi, e camere, e case sotterranee; vengono coverte a tetti parte di esse, ed altre coverte con scandole, le strade sono parte piane, e parte pendinghe, di maniera tale che l’edificj vanno scalando, uno più dell’altro, che da lungi fa bellissima vista.

Li abitanti di detta Terra sono la maggior parte bracciali, quali se la trattengono alla coltura, ed a seminar li campi, e vengono aggiutati dalle loro donne in tempo della raccolta, vanno a spicolare li grani, ed il tempo che li sopra avanza se la trattengono a filare, tessere, e cuscire, ed anco alcuni s’industriano con qualche quantità di animali piccoli, e grandi, stante l’abbondanza de’ pascoli, che vi sono con molte acque sorgente freschissime, nel tempo d’estate sogliono venire d’altre parti per comodità di detti pascoli, ed acque.

L’huomini, e le donne sono di mediocre aspetto, vestono commodamente, dormono sopra matarazzi, ed alcuni sopra sacconi di paglia, vivono con fatighe al miglior che possono, vi è età segnalata sino ad anni ottanta, essendo detta Terra in luogo di buon’aria, ma freschissima d’inverno.

Per servizio della coltura de’ campi vi sono in detta Terra bovi al numero di sessanta, quali sono delli particolari cittadini di detta Terra, ed hanno bacche in numero di quattrocento incirca, quali sono di diverse Cappelle, ed anco de particolari, capre, e pecore al numero di due mila incirca, di particolari, oltre a quelle del Padrone.

Vi sono tre fabricatori, sei mandesi, due calzolaj, ed un sartore, e d’ogni altra comodità, ed artisti che ad essi fa di bisogno, si provvedono dalle convicine Terre.

Risiede il Castello sopra la cima del monte, seu pietra fortificata dalla natura, al presente diruto, e disabitato, dal quale si gode con terminata vista li territorj, e montagne quali sono nel tenimento di detta Terra, però vi è la casa Baronale, quale consiste in tre camere, con stalla di sotto.

L’Università di detta Terra si governa per un sindaco, e quattro eletti, quali si eleggono per consiglio publico, ed anco detta Università da due giurati, così per servizio della Baronal Corte, come per servizio di detta Università, l’Erario, seu Cammerlingo l’elegge il Barone di detta Terra.

Tiene la detta Università alcune entrate per soddisfazione de’ pesi che tiene fiscali, ed instrumentarj debiti, quali sono lo jus pasculandi sopra li territorj demaniali, le piazze con alcune difese…

Circa il spirituale sta sotto posta a Monsignor Vescovo di Marsiconuovo. Vi è la Chiesa matrice sotto il titolo della SS. Annunziata, la sua nave è di mediocre grandezza, viene coverta a tetti, con soffitti di tavole, vi è l’Altare Maggiore ov’è la custodia, nella quale si conserva il SS. Sacramento, con Cuore ove si cantano li divini uffizj, vi sono circumsita in detta Chiesa nove Cappelle, con Cone, e suoi ornamenti, con diverse devozioni de Santi. Vi è la Fonte del Battesimo, pulpito, con l’organo, e sagrestia, ove sono ornamenti sufficienti per la celebrazione delle Sante Messe. Vi è ancora il campanile, con tre campane, una di esse grande, e due piccole, con l’Orilogio. La detta Chiesa matrice viene servita dal Reverendo Arciprete, e quindeci sacerdoti, con ventisette chierici, ed un suddiacono, nella quale celebrano le Sante Messe per l’obligo che tengono delle decime che esiggono dalli territorj con altre entrate di detta Chiesa, quale se le dividono fra di essi.

In detta Terra vi sono altre Cappelle, una di esse sotto il titolo di Santa Maria dell’Annunciazione, nella quale vi è la Confraternita, con dodici confrati; vi è la Cappella dei Santi Cosma e Damiano, Santa Maria della Serra, Santa Maria del Carmine e S. Antonio [2], le quale Cappelle tengono alcune poche entrate quali pervengono d’alcuni stabili, e sopra animali baccine, e pecorine, nelle quali si ci celebra per obbligo e per devozione…”

Segue la descrizione dei corpi feudali e burgensatici ed un confronto minuzioso con gli stessi rilevati nel 1625 dal Tavolario Pinto e con gli altri rilevati da un altro Apprezzo del 1648, del Tavolario Paolo Papa, di cui non si ha altra testimonianza al di fuori dei suddetti riferimenti.

Per lo stesso periodo abbiamo una copia autentica fatta nel 1673 da Pietro Doto, Camerlengo [3] della Terra del Sasso, in cui sono annotate entrate ed uscite della Camera marchesale di Brienza per questa Terra: [4]

Entrate annue in denari:

Per la Bagliva                                                                                          ducati  100

Per la Portolania                                                                                     ducati  150

Censi vari                                                                                                 ducati  115

Per la Mastrodattia affittata a Giacomo Lancone                                  ducati    76

Più l’inferta della strena                                                                          ducati    15

In totale fanno 456 ducati che l’Università deve al feudatario.

La Taverna, affittata ad Antonio Sant’Angelo                                         ducati      9_2_10

L’erba di Tigliano, affittata a Paolo Doto                                              ducati      5_1_20

La stalla della Corte, affittata a Giulio Doto                                          ducati      1

L’erba di Petridici, affittata a Cesare di Ursino Pepe                            carlini        19

Una pedena di fieno fatta all’Acquaro e venduta                                    carlini        35

Altri censi venduti a più cittadini                                                            ducati      3_1_20

L’erba dell’Acquaro, venduta ad estinto di candela                               carlini        15

Un libretto per cause civili e criminali

Richiesto dal Mastrodatti Giacomo Lancone                                          ducati    24_2_7

Per tre transazioni (15+15+10)                                                              ducati    40

Entrate annue in grano

Per l’affitto del molino a Francesco Gaito                                             tomoli   180

Da cittadini diversi                                                                                  tomoli   140

Per le Terrazze affittate ad estinto di candela a Giulio Doto                 tomoli   236 e ¾

Entrate annue in germano

Per l’affitto delle Terrazze                                                                       tomoli     40

Entrate annue in orzo

Per l’affitto delle Terrazze                                                                       tomoli     78 e ¾

L’orgio della tassa                                                                                               tomoli     33 e ¼

 

Un secondo importante documento è costituito dal resoconto della Visita Pastorale che Monsignor Lucchetti, vescovo di Marsico, fece a Sasso nell’anno 1689, che ci chiarisce dettagliatamente lo stato di salute del clero e del patrimonio ecclesiastico sassese.[5]

Il resoconto di questa visita, con tutte le disposizioni emanate, sono conservate nell’Archivio parrocchiale di Sasso.

Monsignor Lucchetti giunse nella terra del Sasso dopo pranzo. All’ora del vespro pregò per tutti i defunti.

Per prima cosa fece visita all’altare maggiore della Chiesa Madre, piccolo e povero di addobbi, ove vi è obbligo per tutto il clero di celebrare quotidianamente messa, e settimanalmente messa cantata  per i benefattori.

Fece visita poi alla fonte battesimale, che trovò decentemente ornata.

Fece visita alla Cappella ove si conserva l’olio per gli infermi, che pure trovò decentemente ornata.

Fece visita al Coro e vi recitò il divino ufficio quotidiano. Diede disposizioni ai sacerdoti di osservare il silenzio e la pausa durante la recita dei divini uffici.

Fece visita all’altare del Santissimo Rosario, di ius patronato dell’Università. Vi trovò una Confraternita laica, che usava indossare un saio bianco durante le processioni. Vi era obbligo di celebrare messa ogni sabato, messa cantata ogni primo venerdì del mese e quattro anniversari all’anno. Comandò di stilare l’inventario di tutti i beni, mobili e stabili, della cappella e di presentarli entro quindici giorni dalla fine della visita, sotto minaccia di pena eventualmente da stabilirsi.

Fece visita all’altare del Santo Crocifisso, di ius patronato della famiglia De Luca. Fungeva da Rettore il Reverendo Don Giovanni De Luca, che ne dimostrò la Bolla di beneficio. Vi si celebrava settimanalmente messa. [6]

Fece visita all’altare di Santa Maria del Monte Carmelo, di ius patronato della famiglia Sassano. Vi si celebravano 12 messe l’anno. Comandò di ripararvi la bretella entro otto giorni e di provvederlo di pallio entro il termine di un mese. [7]

Fece visita all’altare della Santissima Purificazione, di ius patronato della famiglia Taurisano. Officiava Don Antonio De Vita per 20 messe all’anno. Comandò di provvederlo di candelabro e di tabella secreta nel termine di due mesi.

Fece visita ancora all’altare della Santissima Concezione, di ius patronato della famiglia Margaglione. Vi era obbligo di celebrare tre messe alla settimana. [8]

Fece visita all’altare di San Francesco di Assisi. Vi si celebrava tutti i giorni messa all’aurora, tranne la domenica, e messa solenne nelle festività di San Francesco, della Natività della Beata Vergine Maria, di San Gianuario e di San Biagio.

Fece visita all’altare di Sant’Anna, di ius patronato della famiglia Taurisano. Vi si celebravano 12 messe l’anno da parte di Don Rocco Pepe. Ordinò di provvederlo di bretella entro quindici giorni.

Fece visita all’altare dello Spirito Santo. Vi era un beneficio di Nicola de Baserius di Napoli. Vi si celebrava una messa alla settimana da parte del Reverendo Don Giovanni Coronato, che fungeva da Rettore. Ordinò di provvederlo di pallio, di candelabro e di tabella secreta nel termine di due mesi. [9]

Fece visita all’altare di Santa Maria della Pietà, con un beneficio della famiglia Calcagno. Officiava una messa alla settimana Don Pietro Civita, beneficiato, che ne dimostrò la Bolla.

Visitò poi il confessionile e ordinò di apporvi una lamina con pochi fori entro due mesi, sotto minaccia di pena eventualmente da stabilirsi.

Visitò il campanile, piccolo, ma in buone condizioni e dotato di tre campane.

Vi sono riportate, a questo punto della relazione, una serie di disposizioni generali che Monsignor Lucchetti diede ai Sacerdoti e alla popolazione intera.

Vietò a persone secolari di entrare nel Coro durante la recita dei divini uffici, sotto pena di scomunica.

Vietò ai sacerdoti di fiutare tabacco in chiesa e fuori della chiesa prima della celebrazione della messa, sotto pena di sospensione immediata, che solo lui poteva revocare; ai diaconi, suddiaconi e chierici, sotto pena di scomunica, che solo lui poteva revocare; e ai laici di non fiutare tabacco durante la recita dei divini uffici, sotto pena di espulsione immediata e di interdizione dall’ingresso nella chiesa, e riservava solo a se stesso la facoltà di assoluzione.

Comandò poi al clero di stilare l’inventario di tutti i beni e di tutte le rendite della chiesa, e di presentarglielo nel termine di un mese, con la minaccia di una pena di cinquanta ducati.

Diede inoltre disposizione affinché terminasse la consuetudine per i laici e, in particolar modo, per le donne di sedersi, durante la messa, sulle predelle degli altari, sotto pena di espulsione immediata e di interdizione dall’accesso in chiesa.

Ordinò poi che tutti i Procuratori di beni della chiesa presentassero entro due giorni il computo dei beni amministrati.

Visitò la sacrestia, che gli risultò ben adornata e con suppellettili decenti, tanto da complimentarsi.

Dopodiché, celebrata la messa, si recò a pranzo.

All’ora del vespro ritornò nella chiesa madre e cresimò i fanciulli e prima della notte si ritirò nella sua abitazione [10].

Ordinò al clero di radunarsi due volte alla settimana nella sacrestia della chiesa madre per discutere i casi di coscienza, e per preparare adeguatamente i rituali della messa, sotto la direzione di Don Virgilio Rotundo e con la minaccia di pena di sospensione a divinis.

Monsignor Lucchetti esaminò uno per uno i 14 sacerdoti  del clero di Sasso: D. Ascenzio Doti, D. Virgilio Rotundo, D. Carlo Scelzo, D. Giovanni Margaglione (Cantore), D. Urso Oliveto, D. Nicola Giovanni Coronato [11], D. Francesco Beneventano, D. Pietro Civita, D. Onofrio Margaglione, D. Giovanni De Luca, D. Angelo Pepe, D. Giovanni Coronato, D. Rocco Pepe e D. Antonio De Vita.

Tabella delle messe, prospetto suddiviso per mesi

Visitò la Cappella di Santa Maria delle Grazie, che era stata di recente costruita, a proprie spese, da  Francesco Sabbatella e non ancora benedetta. Era stato creato un onere di 12 messe all’anno, una al mese. Il fondo creato, però, di sedici carlini, fu stimato come dote insufficiente dal vescovo, specie in caso di indigenza, per cui Don Giovanni Coronato si offrì, di sua spontanea volontà, di fornire, con propri mezzi, il necessario per rendere la cappella idonea all’ufficio della messa, e a tal fine impegnò se stesso e i suoi successori, con tutti i propri beni. A questo punto il vescovo delegò Don Ascenzio Doto a benedire la Cappella, affinché si potesse celebrare.

Esaminò poi la tabella delle messe, dando disposizione di tenerla esposta in sacrestia, e i resoconti economici, disponendo di tenerli in ordine [12].

Il giorno 15 giugno 1689 visitò le altre chiese e cappelle.

Visitò per prima la Venerabile Cappella di Santa Maria della Serra. Vi era un beneficio unico a favore della Chiesa Madre. Vi si celebrava messa ogni sabato e messa solenne il 15 agosto, giorno dell’Assunzione.

In questa cappella fece visita all’altare di San Marco, di ius patronato della famiglia Doti. L’arciprete Don Ascenzio Doti, che fungeva da Rettore, aveva raccolto una dote di quindici ducati e l’assegnò a detta cappella affinché si rendesse idoneo l’altare di San Marco alla celebrazione della messa e in particolar modo alle messe solenni che vi si officiavano nei giorni delle festività di San Marco, Santa Lucia e Santa Barbara, nelle cui festività il clero si recava alla Cappella di Santa Maria in processione, obbligando le sue sostanze e i suoi eredi a fornire in futuro le suppellettili necessarie.

Pianta della Venerabile Cappella di Santa Maria della Serra Tratta dalla Platea Generale della Chiesa di Sasso (1732)

Fece visita, sempre in questa cappella, all’altare di San Francesco. Diede disposizione di porre la statua di San Francesco in un angolo dell’altare della Beata Vergine per poter portare nell’altare di San Francesco la statua di San Vito Martire.

Diede infine disposizione di demolire due altari nudi.[13]

Fece visita poi alla Cappella di San Vito Martire e ribadì il decreto di traslazione della statua del santo presso la Cappella di Santa Maria della Serra. [14] Vi era un onere di quattro messe all’anno per l’anima del Cantore Civita.

Fece visita alla Cappella dei Santi Cosma e Damiano. Vi era un beneficio semplice costituito dal Reverendo Monsignor Don Marzio Voria, canonico. Vi si celebrava messa solenne nel giorno della festività dei Santi Cosma e Damiano.

Fece visita ancora alla Cappella di San Giacomo, di ius patronato dell’Università. Vi era una confraternita laica, che soleva indossare un saio bianco e che esibiva un vessillo di seta di colore verde. Vi celebrava Don Carlo Scelzo due messe al mese. Ordinò di stilare l’inventario di tutti i beni, mobili, stabili e fruttiferi e di presentarlo in Curia nel termine di quindici giorni, con la minaccia di una pena eventualmente da stabilirsi.

Fece visita alla Cappella di Santa Maria dei Suffragi,  di ius patronato dell’Università.[15] Vi era l’obbligo di celebrare messa ogni lunedì e messa solenne nel giorno della festività di Santa Maria della Neve.[16] Ordinò anche per questa cappella di stilare l’inventario dei beni.

Fece visita alla Cappella di Sant’Antonio, di ius patronato dell’Università. Vi si celebrava messa solenne nei giorni delle festività di S. Antonio di Padova e S. Antonio di Vienna.

Visitò, in questa cappella, l’altare di S. Antonio di Vienna, che trovò ornato con decenza. Ordinò il rifacimento del pavimento nel termine di tre mesi e la demolizione di un altare nudo. [17]

Fece visita poi alla Cappella di San Rocco, di ius patronato dell’Università. Vi si celebrava  messa ogni venerdì e messa solenne nei giorni delle festività di San Rocco, Santa Sofia[18] e San Sebastiano.

Fece visita alla Chiesa di San Nicola, di ius patronato dell’Università. Vi era l’obbligo, per il clero, di celebrare due messe alla settimana. Ordinò di stilare l’inventario dei beni e di presentarglielo nell’arco di quindici giorni. Ordinò inoltre di riparare ed imbiancare la chiesa nel termine di due mesi.

Fece visita, in questa cappella, all’altare di Santa Caterina[19]. Vi era un beneficio di Don Onofrio Margaglione. Ordinò di provvederlo di pallio e ripararne la bretella nell’arco di due mesi.

Fece visita infine alla Cappella della Santissima Annunciazione, di ius patronato dell’Università. Vi era una confraternita laica, che era solita indossare un saio bianco. Vi si celebrava messa ogni sabato. Risultò avere dote sufficiente. Ordinò al reverendo procuratore di stilare, nei soliti quindici giorni, l’inventario di tutti i beni della cappella.

Le Relationes ad limina dei vescovi di Marsico di questo periodo, quella del 28 ottobre 1675[20] di Mons. Giovanni Battista Falvo e quelle del 26 giugno 1677 [21] e del 1 dicembre 1681[22] di Mons. Giovanni Gambacorta, oltre che fornirci relazioni puntuali sulla chiesa di Sasso, ci testimoniano anche l’evoluzione dei rapporti di forza in seno al clero sassese, come riflesso dei mutati equilibri nell’ambito delle famiglie più influenti tra la popolazione locale. Con la morte dell’Arciprete Lancone, nel 1673, si chiude definitivamente un ciclo per il clero e la società civile di Sasso, dominato dalle famiglie Coronato, Calcagno, Civita, Padula, Lancone. Nuove famiglie hanno preso o stanno prendendo il sopravvento: i Margaglione, i Doto, i Beneventani, i Pepe e, soprattutto, i Taurisano.

Nel 1675 è nominato arciprete Don Angelo Taurisano, che ritroviamo anche come notaio apostolico presso la curia di Marsico, e dopo la sua morte, nel 1683, la chiesa viene affidata ad un giovane sacerdote della stessa famiglia, Don Gaetano Taurisano, che però vive saltuariamente a Sasso, per essere per lo più impegnato a Napoli, dove si trasferirà definitivamente dopo il 1792, quando la reggenza sarà affidata definitivamente a Don Antonio De Vita, che però, per un atto formale di riconoscenza o soggezione, per diversi anni aggiungerà ufficialmente al suo cognome quello materno dei Taurisani.[23]

 

 

Don Angelo Taurisano, Arciprete del Sasso, in qualità di notaio apostolico,

controfirma la relazione ad limina del Vescovo Giovanni Battista Falvo del 28 ottobre 1675

 

La relazione del 22 ottobre 1685 del vescovo Francesco Antonio Leopardo registra una difficoltà della chiesa di Sasso, con una diminuzione sia del numero di sacerdoti (12 più l’arciprete) sia delle confraternite, che sarebbero scese a 3.[24] Il numero degli abitanti sarebbe invece salito a 1250, ma è poco probabile perché ancora 30 anni dopo è solo di 1112, secondo il vescovo Anzani.

Questo per ciò che concerne il clero. E le vicende in seno alla comunità sassese?

Alcuni miglioramenti (che vorremmo definire investimenti fondiari) vengono realizzati, dalla Casa Caracciolo di Brienza, proprio in questo periodo: nel 1679 vengono operate alcune riparazioni alla Taverna nel Casale [25], dieci anni dopo, nel 1689, viene edificata addirittura una valchiera nel territorio del Sasso, che ne era sempre stato sprovvisto [26], ma vengono realizzate anche le ultime opere serie di manutenzione al castello. [27]

Nonostante ciò, i continui cambi di mano in seno alla famiglia Caracciolo, dopo la morte senza eredi dei fratelli Giuseppe e Giacomo, rendono i rapporti fra la comunità sassese ed i feudatari sempre più labili e conflittuali. [28]

Un atto pubblico del 14 novembre 1674, rogato dal notaio Paolo Viscardi, ci informa che la Terra del Sasso risulta ceduta in fitto a Carlo Vela [29].

Ma le cose peggiorano, se possibile, quando la famiglia Caracciolo torna ad amministrare direttamente queste terre.

L’amministrazione del feudo del Sasso viene affidata a Don Giambattista (Titta) Caracciolo, uomo prepotente e senza scrupoli, avido come pochi, che portò alla disperazione l’intera comunità sassese. [30]

L’ultimo documento (con cui vogliamo chiudere il nostro racconto del seicento sassese) è un atto pubblico del 28 ottobre del 1712, rogato dal notaio Nicola Doti, in cui alcuni coraggiosi cittadini sassesi accusano apertamente il malgoverno che questo dispotico feudatario ha imposto alla comunità sassese nell’ultimo decennio del XVII secolo, illustrando in modo circostanziato quale fosse la concezione del potere di questo signore e, forse, di gran parte dei feudatari dell’epoca. [31]

Una delegazione di cittadini di Sasso (composta da laici che da ecclesiastici), rende una pubblica dichiarazione in cui si raccontano le malefatte, in un biennio a partire dal 1690, del Marchese Giovanni Battista Caracciolo nella “Terra del Sasso come affittatore d’essa tanto in nome proprio, quanto in nome e parte della Signora Principessa d’Atena, sua madre”, che portò alla disperazione i cittadini di Sasso, tanto da indurne parecchi ad emigrare, per poter salvare l’onore e la vita. “…e nel spazio delli detti due anni che dimorò in essa con il suo tirannico governo havea posto in disperazione la maggior parte de cittadini d’essa a fuggirsene e lasciare in abandono li loro arnesi solo per salvarsi l’onore e la vita, non contento di pigliarsi le loro robbe conforme fece ad Erarij, seu Camerlenghi e conservatori che attualmente lo serveano…” Questi signori, che poi erano amministratori dei suoi beni, pur avendo corrisposto regolarmente e puntualmente le entrate che gli dovevano, risultavano morosi e se provavano a ribellarsi “…li faceva non solo mettere carcerati ma maltrattare con continue mazzate, e ligati in croce, in forma che per disperazione erano costretti di nuovo a pagare per non potere soffrire le sue tirannie; e questo succedette ad Antonio Cappa e al quondam Angelo Doto; tralasciando che senza fare distinzione alcuna delle robbe d’altri Particolari cittadini, di quelle a suo arbitrio disponeva con pigliarsi non solo il musto che facevano nelle loro vigne, del quale pochissimo ne pagava a vilissimo prezzo, ma in tempo delle vendegne si mandava a cogliere l’uva a suo arbitrio, non dicemo per uso della sua casa che men che meno s’avaria supportato, ma per farne ingrassare li cavalli della sua stalla…Poi usava mandarsi a pigliare capretti, aini, porchetti, pulli et ogn’altra specie d’animali che servivano per l’uso cotidiano della sua servitù senza pagamento alcuno…” Naturalmente utilizzava a suo piacimento anche la mano d’opera “senza dare alli poveri faticatori nemmeno pane da mangiare… Fu uno caso barbaro che occorse al quondam Domenico Taurisano di detta Terra, che stando per massaro de bufale con il Signor Principe di Bruzzano, essendo venuto a vedere la sua casa, seco portò una bella giumenta de massaria di detto Signor Principe, e ciò inteso da detto Signor Don Gio: Battista si mandò furtivamente quella a pigliare…” e alle proteste del malcapitato “…più presto minacciato fu costretto a ritirarsi nella massaria delle sue bufale per evitare qualche altro maltrattamento” …“E quel che è peggio non stavano le povere donne, ne meno vecchie, secure nelle loro case: per l’esempio tenemmo della morte violenta di Marta Doto che fu ammazzata da suo fratello per essere la detta stata tentata nel suo onore da detto Don Gio: Battista…” il Rev. Don Giovanni Coronato, che aveva tentato di sottrarre la malcapitata alle mire del tiranno, fu intimorito da una schioppettata dei suoi sgherri, e la famiglia della sfortunata Marta, ormai esausta, fu costretta ad emigrare a Tito. “…Lasciando da parte che in detto suo governo non solo non vi era forma di giustizia, mentre né il Governatore né il Luogotenente serveano a cosa alcuna e vi stavano solo pro forma, esercitando esso Don Gio: Battista quella tirannicamente, come è potuto succedere, tra l'altro a Donato Coronato; il quale per essere solo stato visto sopra d'un piede  di cerase di Cesare Cammarota, senza che il detto contro di esso ne avesse esposto querela, fe’ il detto Donato legare con un mazzo di fune nelle cancelle del carcere dalla parte de fora, et havendolo ivi fatto stare due giorni e due notti costì di mani e piedi ligato, per avere solo voluto dire Albinio Di Rinaldo che aveva compassione di detto poveraccio, ciò inteso da detto Signor Don Gio: Battista si portò di persona in piazza…e li ruppi buona la testa…” I soprascritti cittadini “…non fidandosi più soffrire questa povera Terra e cittadini si risolsero menare lite a detto Signor Don Gio: Battista e Signora Principessa madre con dimandare la prelazione di detto affitto; quale alla fine ottennero e si liberarono della sua tirannia, che si quella non ottenevano a questa hora non vi saria restata persona nel Sasso…”.

Altre informazioni su questo decennio di funesta tirannia sono tratte, indirettamente, dall’Archivio Caracciolo di Brienza: intorno al 1737 l’Università del Sasso, attraverso i suoi rappresentanti, denuncia i feudatari di Brienza per controversie fiscali e, fra le altre cose, portano a testimonianza come nell’ultimo decennio del seicento il suddetto Don Titta Caracciolo usasse estorcere agli amministratori di Sasso, annualmente, le ricevute del pagamento della bonatenenza che puntualmente non versava. [32]

E le vessazioni e le prepotenze di quest’uomo non erano rivolte solo contro gli inermi cittadini di Sasso: il 9 gennaio 1692 Antonio Ciannone lamenta che Don Gio: Battista Caracciolo impedisce “…con genti armate, maltrattando gli abitanti di Sasso e pigliandosi il frutto delle gabelle e minacciandoli di non darne ad altri…” di prendere possesso dell’affitto della Terra del Sasso, per il quale era stato già versato il deposito. Chiedea chi di dovere di ordinare a detto Gio: Battista di allontanarsi da Sasso e non mettervi più piede. L’ordinanza effettivamente viene emanata il 18 gennaio 1692 [33].

Che si trattasse di tempi di relativa confusione, e di diversi arbitri nella vita amministrativa, lo possiamo dedurre anche da un documento del 1694[34] con cui diversi cittadini [35] denunciano alla Regia Camera della Sommaria gli amministratori di Sasso per cattiva amministrazione, per tentativo di sottrarsi ai regolari controlli e per non rispettare i tempi di ineleggibilità alle stesse cariche o a cariche diverse. [36]

Qualche anno dopo vengono contestate ed invalidate le elezioni del sindaco Tullio di Luca (agosto 1703) per le stesse motivazioni. [37]

Negli stessi anni anche il vescovo di Marsico, Monsignor Domenico Lucchetti, che in più occasioni si era recato a Sasso nelle sue visite pastorali, ebbe modo di rammaricarsi per il duro trattamento che i signori riservavano agli operarij quando era l’epoca della semina e della scogna: li si strappava con violenza dai servizi dei luoghi pii per farli lavorare nei campi dei signori. Ammoniva gli uomini facoltosi a moderare le spese superflue ed a riservare il superfluo per i poveri. “Questi – rammentava Monsignor Lucchetti, scrivendo al clero di Sasso – si muoiono della fame e vivono coi mendici, di loro non si tiene conto, e li bruti s’ingrassano. O mondo miserabile! Raccomando con ogni efficacia li poveri, le vedove, gli orfani, li pupilli et altri miserabili ed oppressi”. [38]

Un violento terremoto colpì le nostre aree alle 17,45 dell’8 settembre 1694, lasciando morti e rovine nel Potentino, nel Salernitano e nell’Avellinese, ma fu avvertito in tutto il meridione.

A Sasso risultano danneggiate alcune case, ma nessun morto o ferito. [39]

 

 

[1]Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 77. Pl. 2 (1-33): Apprezzi-Istrumenti per crediti-Scritture diverse (1625-1775).

[2]Non sono citate, come si può notare, alcune Cappelle entro il centro abitato: S. Nicola, S. Giacomo, la Cappella della Pietà, che sappiamo esistere da molto tempo prima, e la Cappella di S. Rocco, che 12 anni più tardi è documentata.

[3] Camerléngo (anche camarléngo, camerlingo, camarlingo) s. m. [dal lat. mediev. camarlingus, che è dal franco kamerling «addetto alla camera o fisco del sovrano»] (pl. -ghi). – 1. Nel medioevo, persona addetta alla custodia del tesoro, all’amministrazione dei beni del sovrano, di una comunità civile o religiosa, ecc. Nella costituzione comunale era il tesoriere del comune. Dizionario Treccani

[4]Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81. Pl. 3 (1-11). Note di corpi Burgensatici e Feudali; rivele (1672-1748).

[5] Non solo la rettitudine e l’aspetto esterno di ogni singolo sacerdote, ma anche il decoro di tutte le chiese e cappelle, con i loro paramenti sacri, sono controllati puntigliosamente e soggetti a minacce di sospensione a divinis o a decreta particularia, come è possibile capire dalla visita pastorale (la seconda nel giro di tre anni) che Monsignor Domenico Lucchetti (vescovo di Marsico dal 1686 al 1707) effettuò a Sasso dal 13 al 15 giugno del 1689.

[6] L’ubicazione di questo altare, di cui, a parte il beneficio menzionato nella relazione della visita di Monsignor Lucchetti, non abbiamo notizie di altre rendite o beni patrimoniali, deve essere stata dunque fin dall’inizio nella posizione attuale, cioè a fianco della porta laterale che da nella piazza.

[7] L’ubicazione di questo altare deve essere stata all’inizio nella navata sinistra della chiesa, giusto di fronte alla posizione attuale. Nel resoconto della visita di Monsignor Marolda del 1829, questo altare viene definito Cappellone del Carmine, sito vicino alla porta della sacrestia e comodo per confessare nei giorni festivi, allorché vi era un particolare affollamento.

[8] A pag. 118 della Platea del 1732 si legge che l’altare dell’Immacolata Concezione fu eretto dentro la Chiesa Madre dal Cantore Don Giovanni Margaglione, che lo dotò di un capitale di 300 ducati, in possesso dell’Università, per la celebrazione di 150 messe all’anno. Don Giovanni Margaglione, che ritroviamo già fra i sacerdoti del 1661, è ancora Cantore al Momento della visita di Monsignor Lucchetti, per cui questo altare deve essere stato eretto solo qualche anno prima. In un altro documento, conservato nell’Archivio Parrocchiale di Sasso, datato 20 gennaio 1703, si legge che l’altare dell’Immacolata Concezione fu eretto nella Chiesa Madre dal Cantore Margaglione e da suo fratello Domenico, che era chierico, di fronte alla Cappella di San Francesco d’Assisi (che dunque era di sicuro preesistente), vicino la porta grande. Nello stesso documento si legge che i sacerdoti di Sasso, dovendo rendere conto alla famiglia Margaglione, che ne aveva lo jus patronato, e per essa a Girolama Margaglione, sorella del Cantore e del chierico, e ai suoi figli Andrea e Angelo Doto, che ne avevano fatto espressa richiesta, per un beneficio su una vigna a Turri, e riconoscendo che l’ormai anziano Don Urso Uliveto, titolare di questo beneficio e cappellano dell’altare dell’Immacolata Concezione, non era più in grado di assolvere il suo compito, decide di nominare Don Domenico Pepe cappellano di detto altare e titolare di tutti i benefici.

[9] Nell’Archivio Parrocchiale di Sasso sono conservati due importanti documenti che riguardano la Cappella dello Spirito Santo. Il primo riguarda una proposta di scomunica, fatta nel 1722 dal Procuratore della Cappella Don Prospero Lo Giurato, contro chi si è appropriato indebitamente di due pezzi di terra alle Cesine, che un tal Antonio Lo Giurato aveva comprato nel 1597 da Florio Coronato e da Giovanni Giacomo Di Laurenza ed aveva donato come dote alla Cappella dello Spirito Santo, e contro chi furtivamente ha strappato dal Libbrone della Cappella le pagine che attestavano il possesso di questi terreni e le loro dimensioni e i loro confini. Il secondo, datato 17 maggio 1685, è in sostanza un comunicato congiunto del clero di Sasso alla Curia vescovile di Marsico, in cui si afferma che il beneficio della Cappella dello Spirito Santo è vacante ormai da più di trent’anni, poiché il titolare, Don Giovanni Lo Giurato, della famiglia che ne aveva lo jus patronato, un tempo appartenente al clero di Sasso, era poi emigrato senza dare più notizie di sé. Avendo avuto notizia che fosse morto a Roma, sollecitavano l’assegnazione del beneficio a Don Pietro Civita.

[10] Non si capisce se ritorna a Marsico o se resta ospite in qualche casa a Sasso.

[11] Un altro sacerdote omonimo era stato Arciprete della Chiesa di Sasso poco più di un secolo prima. Muore a 77 anni, nel 1694.

[12] Nella tabella delle messe, riportata particolareggiata dal redattore della visita, vengono in una prima parte riassunte le messe, divise per altari o cappelle, ed in una seconda parte poi suddivise mese per mese con l’indicazione degli anniversari perpetui e dei benefattori, rappresentanti delle famiglie più in vista nel paese, che potevano evidentemente permettersi di lasciare una rendita alla chiesa, per messe perpetue alla propria memoria o a quella di propri cari, o, altre volte, per poter beneficiare indirettamente sacerdoti a loro parenti o amici.

[13] Si trattava dunque di una Chiesa di discrete dimensioni, se poteva ospitare un altare maggiore centrale in cui era allocata la statua o l’icona della Beata Vergine (abbastanza grande da poter ospitare anche un’altra statua) e due altri altari per lato: due nudi, uno dedicato a San Francesco ed uno dedicato a San Marco (che richiama tanto quell’antica devozione a San Marco Evangelista per cui il populus Petre que cognominatur de Augustaldo recuperò un antico edificio di culto e nel lontano 1163 ne fece dono al vescovo Giovanni di Marsico, il quale, a sua volta, lo pose sotto la protezione dell’Abbazia di Cava.

[14] Non viene spiegata la motivazione; evidentemente si tratta di riparazioni importanti. La Cappella comunque continua ad esistere ancora per un paio di secoli almeno.

[15] Da identificarsi con La Cappella della Pietà o del Monte dei Morti. La conferma ci viene da una scrittura conservata nell’Archivio Parrocchiale di Sasso, datata ottobre 1693 e firmata da Don Antonio De Vita in qualità di Arciprete., riguardante un contratto di affitto di due mucche, nella quale si legge testualmente che appartengono alla Chiesa del Monte dei Morti, seu S. Maria de’ Suffragij. Si tratta di due bacche, una figliata di nome Bellina, valutata dieci ducati, e della figlia di tre anni, definita genca o bacca annechiarica, valutata otto ducati, che vengono date in affitto, per tre anni, a Francesco Pepe di Giuseppe e a sua suocera Caterina Scelzo, per il prezzo annuo di quindici caciocavalli per la prima e di sette caciocavalli e mezzo per la seconda, con l’obbligo per la Cappella di fornire il sale.

[16] Ricorreva il 5 di agosto.

[17]Le statue del SS. Salvatore, di San Gaetano e Santa Filomena, che attualmente sono allocate nella Cappella di S. Antonio Abate provengono da altre chiese o cappelle ora non più esistenti fuori dal paese: la Cappella dell SS. Salvatore si trovava in località Vignali (ancora oggi se ne conservano pochi ruderi).

[18] Ricordo e testimonianza dell’antica dedicazione di questa Cappella proprio a Santa Sofia.

[19]L’altare di Santa Caterina si trova attualmente nella Cappella di S. Antonio Abate al Casale, così come in origine. A pag. 222 della Platea del 1732 Don Nicola Doti scrive: “Un terreno alla Lenaradi proprietà della Chiesa sta registrato nella Platea antica del 1667 come appartenere a Santa Caterina dello Burgo, che sta nella Cappella di S. Antonio”.

[20] Vi si legge:”…Saxi oppidum…facit circa duecentum familias et animas circa novecentum maiores et minores. Ecclesia parochialis est receptitia, sub invocatione B. M. V. Annunciationis, cui inservunt Archipresbyter, qui tenet curam animarum, et constat cum alijs decem et septem Presbyteris, et uno Diacono, et quindecim clericis…redditus ecclesie dividunt inter omnes Presbyteros, et unusquisque ipsos vix percipit annuo sducatos quindecim, intra habitatum sunt due ecclesie, extra vero una, quae manutenentur elaemosinis fidelium”. La relazione è controfirmata in calce da Don Angelo Taurisano, Arciprete di Sasso, in qualità di notaio apostolico. Relationes ad limina dei vescovi di Marsico: 1675 (Mons. Giambattista Falvo).

[21] Vi si legge: ”…Saxum facit circa centum octoginta familias seu focularia et animas novecentum quinquaginta ….inserviunt Archipresbyter, qui habet curam animarum, Cantor qui dirigit Chorum, et sex decim alij Presbyteri, et viginti clerici celibes…Redditum ecclesie dividuntur equaliter et qualibet singulis annis percipit ducatos duodecim”. Relationes ad limina dei vescovi di Marsico: 1677 (Mons. Giambattista Gambacorta). Vi è stato dunque un impoverimento della cassa comune, poiché con lo stesso numero di sacerdoti partecipanti registriamo una diminuzione di 3 ducati ciascheduno. Relationes ad limina dei vescovi di Marsico: 1677 (Mons. Giambattista Gambacorta).

[22] Sono attestati a Sasso per quest’anno 1 arciprete, 1 cantore, 18 sacerdoti e 16 chierici celibi, che dividono in parti uguali il reddito comune percependo ancora 12 ducati a testa annualmente. Non sono riportati dati sulla popolazione. Anche quest’atto è sottoscritto dall’arciprete di Sasso Don Angelo Taurisano. Relationes ad limina dei vescovi di Marsico: 1681 (Mons. Giambattista Gambacorta).

[23] Dell’importanza e della potenza che hanno assunto dentro la comunità di Sasso si rende ben conto Labrot nello scorrere le carte relative alla chiesa di Sasso ed ha modo di riflettere: “ A Sasso enfin, nous faisons connaissance de trois personnages porteurs du même patronyme: Taurisano. Sont-ils les chefs de famille successifs d’une unique “gens”ou les raprésentants de lignées distinctes?…”; Labrot G. Quand l'histoire murmure: villages et campagnes du royaume de Naples : XVI-XVIII siècle, Roma 1995, p 171.

[24] Relationes ad limina dei vescovi di Marsico:1685 (Mons. Francesco Antonio Leopardo.

[25] Ne fanno fede il 13 marzo 1679, in un attestato controfirmato da Angelo Doto, Donato Margaglione e Matteo Caso, i mastri fabbricatori Augustino Lancone, Graziano Di Tofalo e Antonio Lancone. Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 82. Pl. 7 (1-11): Scritture diverse (1679-1810).

[26] Lo testimonia una fede autentica dell’Università del Tito. Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81. Pl. 3 (1-11): note di corpi burgensatici e feudali; rivele (1672-1748).

[27] Di lì in poi fu definitivamente abbandonato e sostituito dalla Casa Palazziata nell’attuale Via Roma.

[28] Pacifici M. A. Genealogia dell’Illustre Casa dei Marchesi di Brienza…citato; f. 43. il Principe Giuseppe Caracciolo, che già nel 1651 aveva ereditato, per la morte del fratello Giacomo, Marchese di Brienza, senza eredi, i feudi di Brienza e Pietrafesa, muore il 6 agosto del 1656, pure lui senza eredi. Le terre di Atena, Brienza, Pietrafesa e Sasso, riunite di nuovo sotto un unico feudatario, vengono ereditate allora dalla sorella Faustina Caracciolo, principessa di Macchia, per aver sposato il 26-07-1621 Carlo Gambacorta, nata nel 1602 e sopravvissuta a tutti e tre i fratelli maschi.

Nelle Relationes ad limina del vescovo di Marsico Angelo Pinerio del  1659, 1661, 1664 e 1670 risulta Sasso “sub temporali ditione nobilis matrone D. Faustine Caracciolo, Neapolitane”, e tale rimarrà fino alla sua morte, il 6 marzo del 1673. A questo punto, secondo quanto ricostruito dal Razionale del Regio Cedolario, l’intero feudo passa al figlio Pietro Gambacorta, anche lui Principe di Macchia. Alla morte di Pietro, il 23 novembre 1681, le suddette terre passano a sua sorella Cristina Gambacorta, che fu (secondo S. Ammirato Delle Famiglie Nobili Napoletane Vol. I, p 132) 7° Marchesa di Brienza e Principessa di Atena dal 1681; avendo sposato Domenico Caracciolo, figlio di Carlo, Duca di Montenegro, riporta di nuovo a questa famiglia il feudo. Sasso risulta intestato già nel 1675 a D. Domenico Caracciolo, Principe di Atena. Nella Relazione ad limina del 28 ottobre 1675 il vescovo di Marsico Giovanni Battista Falvo scrive:Saxi oppidum est locatum per Sac, Concil. Neap., ob concursum creditoris, excell.mo Principi D. Dominico Caracciolo”. E lo stesso ripete nella relazione del 26 giugno 1677 il vescovo Giovanni Gambacorta. Nel 1681 Sasso risulta intestata alla moglie di costui, Cristina Gambacorta: nella Relazione ad limina del 1 dicembre 1681 il vescovo di Marsico Giovanni Gambacorta dice testualmente: “Burgentiam et Saxum tenet locata a Sacr. Reg. Cons. exc. ma Domina Cristina Gambacorta, Principissa Athinae”.

[29] Archivio di Stato di Potenza. Atti Notarili. Distretto di Potenza. Primo versamento. Notaio Viscardi Paolo. Vol. 573, c. 3 r. Una copia si ritrova nell’Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 77. Pl. 2 (1-33): Apprezzi-Istrumenti per crediti-Scritture diverse (1625-1775). La dichiarazione pubblica davanti al notaio è fatta dai sacerdoti D. Gio: Battista Taurisano, D. Gio: Coronato, D. Dominico Doto, D. Giuseppe Margaglione e da Lelio Civita, Cesare Pepe, magistro Aloisio Perrone e Donato Margaglione, oltre agli amministratori al completo: il sindaco Giuseppe Doto e gli eletti Francesco Sabbatella, Leonardo Catalano, Donato Santangelo e Antonello Di Vito.

[30] Giovanni Battista nato a Napoli il 18-4-1671 e ivi morto il 12-2-1736, era il terzogenito (secondo figlio maschio) di Cristina Gambacorta. Sposò il 4-10-1711 Candida Grassi, figlia di Bartolomeo Conte di Pianura e di Anna de Ponte. Vedi il portale www.sardimpex.com-Genealogie delle dinastie italiane.

[31]Archivio di Stato di Potenza. Atti Notarili. Distretto di Potenza. Primo versamento. Notaio Nicola Doti.  Vol. 1354, c. 20 v., c. 21, c. 22 r. Il Rev. Don Ascenzio Doto, Tommaso di Giacomo Lancone, Domenico Pepe, il Rev. Don Giovanni Doto, Francesco Perrone, il Rev. Don Giovanni Coronato, Giovanni Romanza, Donato Coronato, Giuseppe Doto, Andrea Doto, Giovanni Battista Cappa, Giuseppe De Vito, il Rev. Don Fabrizio Doto, Francesco Antonio Doto, Marco Sant’Angelo, Antonio Coronato, il Magnifico Matteo Caso, Angelo Rotundo, Giuseppe Sant’Angelo, Leonardo Doto, Antonio Cappa, Geronimo Curto e Albinio De Rinaldo hanno il coraggio di fare questa pubblica denuncia.

[32]Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81. Pl. 4 (1-15): Credito e liti contro l’Università del Sasso (1639-1807).

[33]Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 77. Pl. 2 (1-33): Apprezzi-Istrumenti per crediti-Scritture diverse (1625-1775).

[34]Archivio di Stato di Napoli. Sommaria. Consiglio collaterale. Provvisioni. Fascio 280, f. 81.

[35]Si tratta di cittadini fra i più in vista del paese: Carlo Doto, Tommaso Doto, Matteo Caso, Tommaso di Laurenza, Angelo Doto, Tommaso Lancone, Domenico Taurisano, Pietro di Vito, Gasparro di Rinaldo, Nicola Doto, Francesco di Rinaldo, Lorenzo Doto, Gennaro Lancone, Angelo di Luca e Tommaso di Vito.

[36]Il sindaco e gli eletti non potevano essere eletti alla stessa carica nei 5 anni successivi o a cariche diverse (uffici della Corte?) nei 3 anni successivi. Né potevano essere eletti coloro che si trovassero rispetto all’Università in condizioni di debitori o creditori istrumentari.

[37]Archivio di Stato di Potenza. Atti Notarili. Distretto di Potenza. Notaio Nicola Doti. Primo versamento. Vol. 1353, c. 13 v. c. 14, c. 15 r.

[38]G. De Rosa, Vescovi, popoli e magia, Napoli 1983, p 57.

[39]V. Claps, Cronistoria dei terremoti in Basilicata, citato, p 37.

Torna al blog

Lascia un commento

Si prega di notare che, prima di essere pubblicati, i commenti devono essere approvati.