Quando la didattica non era a distanza

Deux et deux quatre

quatre et quatre huit

huit et huit font seize...

Répétez! dit le maître

Deux et deux quatre

quatre et quatre huit

huit et huit font seize.

Mais voilà l’oiseau-lyre

qui passe dans le ciel

l’enfant le voit

l’enfant l’entend

l’enfant l’appelle:

Sauve-moi

joue avec moi

oiseau!

Alors l’oiseau descend

et joue avec l’enfant

Deux et deux quatre...

Répétez! dit le maître

et l’enfant joue

l’oiseau joue avec lui...

 

         Non ricordo più che cosa fu a distrarmi in quel lontano mattino di primavera, in quell’aula di quarta elementare della scuola “Enrico D’Aquino” di Sasso; non so se fu il volo degli uccelli, come per il ragazzo della poesia di Jacques Prévert, a rapirmi l’attenzione ed il pensiero, o le infiorescenze primaverili, o semplicemente il primo caldo. Fatto sta che l’insegnante o, per meglio dire, il maestro (le maître di cui sopra, perché ancora in quegli anni, nei nostri borghi rurali, erano, oltre che maestri di cultura e di conoscenza, anche e, soprattutto, maestri di vita e di costumi), stava spiegando, con dovizia di particolari ed abbondanza di riferimenti, la favola di “Marzo e il pastore”; ed io, che quella storia già la conoscevo per averla sentita raccontare mille volte da mia madre, mi persi nell’etere dei miei sogni e dei miei giochi di bimbo.

Ad un certo punto però una frase mi riportò bruscamente alla realtà:- domani mi portate il riassunto scritto di “Marzo e il pastore” – sentenziò il maestro.

          Poco male pensai. Sapevo che in un vecchio sussidiario, che mia madre custodiva gelosamente (a testimoniare una speranza di proseguire gli studi, che, per ragioni di cultura e di genere, più che di povertà, non si era potuto realizzare), c’era proprio la storia di “Marzo e il pastore”.

Così quando arrivai a casa, recuperai quel vecchio libro e, senza rubare eccessivo tempo ai giochi di strada, copiai integralmente quell’allegra storiella.

         Purtroppo la copiai così bene che il maestro ci mise davvero poco ad accorgersi del misfatto. Lesse velocemente il testo: girò il foglio e con la penna disegnò un enorme O; poi vi fece un segno di traverso a suggellare come voto uno zero spaccato e scrisse sotto, come il dispositivo di una sentenza: - “Non è farina del tuo sacco”.

Poi mi fece stendere le mani, prese la bacchetta e mi rifilò cinque bacchettate, sotto lo sguardo solidale, ma pur sempre assuefatto, dei miei compagni di classe.

         Io tornai al mio posto, a rinfrescare il palmo delle mani (che friggevano come quando in inverno avevamo giocato a palle di neve fino ad essere esausti) stringendo i piedi in metallo del tavolinetto, in silenzio, senza piangere, ad elaborare una sconfitta che doveva essere un insegnamento.

 

Rocco Perrone 02/04/2021     

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