M’arcord’

È opportuno che torniamo ad animare il Blog di Terra del Sasso.

L’estate sta volgendo al termine e si prospetta un lunghissimo inverno, come sempre, da queste parti.

Ottobre (hattru’f, secondo la terminologia in voga fra i contadini che hanno popolato la mia infanzia) era, per noi ragazzi dell’altro secolo, il mese della vera fine dell’estate (della Staggion’, la stagione per eccellenza di un paese di montagna, in cui si comprimevano estate, primavera ed autunno, con risultati sfavillanti, continuamente cangianti e, perciò, sempre affascinanti).

Si tornava a scuola; e già questo incuteva tanta malinconia, oltre ad un po’ di apprensione e qualche scrupolo per aver attraversato l’estate con troppa leggerezza, rispetto ai propositi ed alle promesse di fine anno scolastico precedente.

Ma non solo!

Ormai le giornate si erano accorciate sensibilmente e bisognava rientrare a casa molto prima. Cominciava a fare freddino e bisognava dismettere i tanto amati pantaloncini, per indossare più austeri e caldi pantaloni di lana o di panno; non ancora, per fortuna le odiate magliette di lana, che avrebbero punto e graffiato per tutto l’inverno, le nostre tenere carni, come cilici di santi martiri.

Insomma buio e freddo cominciavano a rubare tempo prezioso ai giochi della nostra infanzia: nascondino (accuvator’), lippa (mazz’ e piuz’), bon cavalier’, cerchio e tanto pallone. E per le femminuccie cinque pietre, la campana e bamboline di pezza. Finiva la libertà e la leggerezza dell’estate per far posto alle grevi regole dell’inverno di montagna e della scuola.

E tuttavia il mondo contadino non si fermava; anzi, in questo periodo si animava ancora più freneticamente.

I preparativi per la vendemmia impegnavano tutti: dalla guardianìa delle vigne al sapiente e paziente lavoro per ripristinare, bagnandoli in continuazione (abbufcà’), la capacità contenitiva dei recipienti di legno, dai tini (t’nazz’ e t’niedd’) alle botti , ai recipienti di trasporto dell’uva a soma di muli ed asini (cupiedd’). I risultati sarebbero stati comunque, per lo più, mortificanti per i palati anche meno delicati, perché un anno sì ed un altro pure si finiva per produrre un vinello acidulo, come già aveva segnalato Giulio Corbo, relatore per la Basilicata all’epoca dell’Inchiesta (1811) voluta da Gioacchino Murat per dettagliare lo stato dell’economia, della società e delle abitudini di vita del Regno di Napoli . Per i vini di Sasso si era pronunciato così: sembrano espressi dall’agreste, tanto il clima n’è rigido ed in genere … i vini delle nostre zone ordinariamente sono acidi perché le uve si colgono immature e poco si fanno fermentare e vengono mal conservati.

I preparativi della vendemmia coinvolgevano trasversalmente tutti gli uomini, di ogni età, che non fossero dedicati al governo dei greggi.

Alle donne, nello stesso periodo, era affidato (oltre a tutto il lavoro domestico ed all’esclusivo esercizio di accudire i figli, come sempre) anche il compito della raccolta di tutti i frutti che il buon Dio lasciava cadere dagli alberi: noci, castagne, ghiande per i maiali, ecc.

Ma sopra ogni cosa vi è un particolare a cui restano imbrigliati i miei ricordi d’infanzia per questo periodo dell’anno: la scocchiolatura del granturco e la produzione delle inserte di pannocchie (gniett’), che poi si appendevano per completarne la stagionatura.

Le operazioni, rigorosamente al femminile (eccetto i fanciulli) avvenivano per lo più di sera e coinvolgeva tutto il vicinato, radunato davanti ad un grosso mucchio di pannocchie da lavorare, nei pressi di un focolare acceso, che aveva ragione di esistere perché i primi freddi cominciavano a mordere quelle case non proprio ben coibentate.

E quelle serate erano arricchite da pannocchie arrostite sulla brace, insieme a qualche caldarrosta  o patate cucinate sotto la cenere, che solo con un po’ di sale ed olio avevano un sapore irrinunciabile ed irripetibile. Il divertimento dei ragazzi più impertinenti era quello di far esplodere nella cenere qualche castagna non intaccata e far spaventare le ragazze che invece raccoglievano dalle pannocchie “capelli” neri, castani, biondi, dalle mille sfumature per improbabili bambole di pezza di effimera durata.

Ma soprattutto quelle serate erano arricchite da racconti più o meno verosimili, più o meno favolistici, che svariavano dai briganti alle maciare, dai miracoli di santi e santoni ai ricordi di parenti emigrati in America. E poi aneddoti e canzoni e proverbi e fatti raccontati a mezza voce (perché noi non potessimo capirne la vera essenza), che sempre più spesso fanno capolino nella mia memoria: si scrollano un po’ di polvere di dosso, si ripresentano con i volti e le sembianze di chi li raccontava e poi vanno a rannicchiarsi in un angolo, pronti a ripresentarsi appena se ne ridà l’occasione.

Mi piacerebbe ricreare (in questo Blog di Terra del Sasso), come in una scenografia di Fellini, quel clima, quel pathos che consente di raccontare fatti straordinari di storia maggiore e minore con la stessa semplicità e leggiadria di aneddoti e fatti ordinari o banali di vita quotidiana.

Il primo appuntamento lo dedicheremo a raccontare come fu che la Terra del Sasso divenne, a metà del seicento, un Ducato della famiglia Capece Minutolo.

A presto!

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