Le vicissitudini di un piccolo borgo lucano tra ‘500 e ‘600

Le vicissitudini di un piccolo borgo lucano tra ‘500 e ‘600

Soffermiamoci ancora un poco (in questo nostro scorrazzare avanti e indietro nel tempo della storia lucana) sulle vicissitudini politiche e sociali di un piccolo borgo di pastori, fra le montagne della Lucania, fra XVI e XVII secolo: la Terra del Sasso.

Siamo convinti che nelle vicende che vi racconteremo potrebbero riconoscersi tante altre terre e città, non solo lucane.

Abbiamo già parlato (in un appuntamento precedente) della peste nelle nostre contrade; e ci siamo consolati constatando che la Terra del Sasso non solo non sembra essere stata toccata dal “fiero morbo”, ma che abbia potuto dare rifugio a genti in fuga da contrade vicine infestate.

Abbiamo anche già disquisito sulla bizzarra vicenda dell’intitolazione di Duca del Sasso per Achille Capece Minutolo. Brienza si era fregiata del titolo di Marchese; Atena di rimando del titolo di Principe; Sasso aveva voluto esagerare con il titolo di Duca; solo Pietrafesa aveva mantenuto i piedi per terra, rimpiangendo forse i fasti di un tempo della ricca e potente Famiglia Pietrafesa.

Avevamo accennato che dal terzo decennio del XV secolo la Terra del Sasso era stata sottratta alla famiglia Origlia per essere assegnata a Petraccone Caracciolo e di lì in poi sarebbe appartenuta, di successione in successione (a parte qualche atto di vendita, più o meno reale, da leggersi come tentativo, di aggirare le maglie del sistema fiscale del Vicereame spagnolo), sostanzialmente ai Caracciolo fino all’eversione della feudalità, dell’inizio del XIX secolo.

La cronologia delle successioni ve la risparmiamo volentieri[1].

Vi proponiamo solo due curiosità. La prima è legata alla figura di Donna Giacoma (figlia di Raimondo Orsini, Duca di Gravina), vedova di Giambattista Caracciolo. Nel 1536 risulta che Petriccone (il terzo con questo nome dei Caracciolo di Brienza) vende la Terra del Sasso alla madre Giacoma Orsina, insieme alla Giurisdizione Civile e Criminale. Costei poco dopo, nel 1543, la dona al figlio Giulio Cesare Caracciolo, in occasione del suo matrimonio con Vittoria Caracciolo. È una costante di questa famiglia: lo stesso avviene (come abbiamo scritto in altra occasione) un secolo dopo fra Diana, vedova di un altro Giambattista Caracciolo, ed i figli Giacomo e Giuseppe.

Non avendo più una famiglia di feudatari autoctoni non ci siamo fatti mancare nulla delle grandi famiglie del Regno: nemmeno gli Orsini. E tanto per gradire, proprio in questo XVI secolo ci siamo legati anche ai Piscicelli.

Infatti nel 1573 risulta in possesso di Don Cesare Piscicelli, allorché ne risulta tassato nel Cedolario. In altra parte dello stesso Archivio Caracciolo di Brienza si legge che il Signor Cesare Piscicelli “era padrone di Sasso come suffeudatario per conto della Magna Curia con il suo castello, ovvero fortelizio, degli uomini e dei vassalli”[2]. Verosimilmente si è trattato di una vendita forzata, forse per debiti fiscali verso la stessa Magna Curia.

Qualche anno più tardi però ritorna alla famiglia Caracciolo, ma questa volta al ramo dei Caracciolo Rossi. Difatti è conservato nel fondo Caracciolo di Brienza dell’Archivio di Stato di Napoli, l’atto di vendita della Terra del Sasso a Giulia Caracciolo, marchesa di Brienza e vedova di Marcantonio Caracciolo, da parte di Don Cesare Piscicelli. Si tratta di una copia autentica d’istrumento rogato dal notaio Scipione Zoccoli, di Sant’Angelo Le Fratte, in data 22 novembre 1580. Il prezzo è fissato in 15000 ducati da pagarsi in 3 tranches da 5000, con l’interesse dell’otto per cento. Con tutti i diritti feudali, tra cui giurisdizione di prime e seconde cause civili e penali, passano a Giulia Caracciolo: un castello, ovvero fortilizio, ristrutturato da Giulio Caracciolo, adibito ad uso di magazzino; un territorio al Pantano ed un altro al Prato; un forno nel paese con i diritti annessi; una chiusa alla Foresta; altre tre chiuse, o difese, una a Petridici, una a Tigliano ed un’altra non specificata[3], per il legnaggio delle quali il feudatario percepiva annualmente 33 tomoli di orzo, che i sassesi chiamavano “l’orgio della tassa”; un molino con i diritti conseguenti; una vigna detta “la vigna della Foresta”; infine il diritto di tenere, a suo servizio ed a spese della Terra del Sasso, un Camerario, due Conservatori, due Baiuli e due Credenzieri. Il 28 dicembre 1581 Giulia Caracciolo ratifica il suddetto atto di vendita con un altro strumento del notaio Scipione Zoccoli, rogato nel castello di Brienza [4]. L’atto evidentemente non comprende tutti i diritti feudali, poiché per diversi decenni (ancora nel 1623) per la Terra del Sasso risulta intestata l’adoha a Don Cesare Piscicelli[5].

E la popolazione di Sasso?[6]

Aveva sicuramente beneficiato sia in termini demografici che in termini economici dell’accorpamento della popolazione e del territorio di Pietra Castalda, avvenuto gradualmente ed inesorabilmente nel corso del secolo precedente. Difatti dall’inizio del XV secolo non vi è più nessuna citazione di Pietra Castalda (tanto negli atti amministrativi che nei riferimenti ecclesiastici e notarili), né come borgo autonomo, né come casale e neppure come feudo disabitato. Si tratta di un vero e proprio processo di fusione-annessione tra Terra del Sasso e Pietra Castalda.

Ma su questo snodo importante della storia del nostro paese proveremo a soffermarci più dettagliatamente in altra occasione.

Ci basta ricordare ora che la popolazione di Sasso è nel frattempo in continua ascesa. 

Dal Cedolario del 1521 la Terra del Sasso risulta tassata per 48 fuochi [7]. Nel Cedolario del 1532 i fuochi della Terra del Sasso sono saliti a 59. Nel Cedolario del 1545 è arrivata a 65 fuochi e, dopo pochi anni, nel 1561, 104 fuochi. Nel Cedolario del 1595 sono addirittura 151 fuochi [8].

Il dato è davvero significativo, perché ci testimonia come la popolazione di Sasso sarebbe giunta addirittura a triplicarsi in poco più di mezzo secolo, nonostante le sempre incombenti avversità naturali [9]. E non si può ritenere che ci sia una riammissione al fisco di fuochi prima in qualche  modo esentati, poiché la crescita non è subitanea ma tutto sommato costante e progressiva, come se l’abitato di Sasso fosse stato sottoposto ad un processo di immigrazione continua, che culmina negli ultimi anni del cinquecento. Le rilevazioni dei fuochi riportate dal Giustiniani sono piuttosto ravvicinate, ma sappiamo che in epoca aragonese, e poi spagnola, i censimenti ad uso fiscale furono, se possibile, ancor più meticolosi che in epoca angioina [10]. E tali si mantennero fino alla metà del Seicento.

E del peso fiscale di questo incremento di popolazione hanno a dolersi gli stessi amministratori dell’Università del Sasso, se già nel 1510 chiedono di scorporare dai fuochi tassati alcuni nuclei abitativi che si sono di fatto trasferiti in altri paesi. Commissario – scrive il 26 gennaio 1510 il razionale Jacopo Rapario – per parte de la Università et homini de lo Sasso è stato esposto cum querela como in questa terra foro posti et annotati li subscripti fochi quali dicono hanno habitato et habitano in li lochi inferius scripti. Nomina et cognomina ipsorum sunt hec, videlicet: Berardo de Gutero in Marsicovetere, Joanne de Farolugno in Calvello, Joanne de Molfisio in Ruoti, Tomaso de Canalero in Baragiano, Narducio de Francillo in Sala [11].

All’espansione demografica fa riscontro l’urbanizzazione di altre aree. Non possono essere più sufficienti, per contenere tutta la popolazione, gli antichi rioni Civita (intorno alla chiesa di San Nicola ed alla Piazza dell’Olmo), Casale (intorno alla chiesa di S. Antonio Abate), sotto il castello e Forno, nuclei originali dell’antico abitato medievale.

Espansione dell'abitato di Sasso

tra i secoli XII e XV

 

Legenda

 

Originario nucleo abitato circondato da profondi fossati

 

Civita, intorno alla Chiesa madre di S. Nicola di Mira (1) e

Casale, intorno alla chiesa di Sant’Antonio Abate (2),

 

Espansione nei secoli XIV-XV

 

Rione del Forno

Rione del Fosso

Cappella di S. Maria dei Suffragi poi del Monte dei Morti (3)

 

 

Gli stessi luoghi di culto anticamente frequentati (la Chiesa Madre di S. Nicola nella Civita, la Chiesa di S. Antonio Abate nel Casale e, più tardi, la Cappella di S. Maria dei Suffragi tra i novelli quartieri Forno e Fosso) non sono più sufficienti. Si decide allora di inglobare nel centro abitato la Cappella dei Santi Filippo e Giacomo (che ancora nel 1559 risultava  extra moenia) e la vicina Cappella della SS Annunciazione, che viene ristrutturata, ampliata abbellita e destinata a nuova Chiesa Madre: verrà inaugurata nel 1576 con il titolo appunto dell’Annunziata.

Anche il clero, che nel 1478 paga alla Mensa vescovile di Marsico solo 5 grana in più rispetto al 1310, risulta, nella seconda metà del cinquecento, composto da una decina di sacerdoti che rappresentano le famiglie più importanti ed influenti del paese (Don Giovanni Battista Calcagno, Don Paolo Doto, Don Linardo Sabatella, Don Giovanni Di Luca, Don Damiano Coronato e Don Boezio Cammarota, tra quelli di cui abbiamo testimonianza nella seconda metà del cinquecento[12]), guidati da un Arciprete, Don Giovanni Nicola Coronato, che probabilmente rappresenta la sintesi degli equilibri politici interni alla comunità sassese dell’epoca.

 

Espansione dell'abitato di Sasso

fra i secoli XVI e XVII

 

Legenda

 

Nuove aree abitate

Intorno alla Piazza Nuovaed alla nuova Chiesa Madre (4) vicino alla quale nasce il Quarto della Giudea e l’Hospitalium

Lungo La Strada, ove sorge il Palazzo Caracciolo (A); alla fine della Strada si trova ora una Fontana pubblica.

Intorno a San Giacomo (5)

Sopra l’Annunziata (6) o Casale Nuovo;

La Pezza la Corte

Rione dietro il Castello

Rione della Manca;

Intorno alla Taverna (B) e alla vicina Cappella di Santa Sofia (7)

 

 

Intorno alla nuova Chiesa Madre ed alla nuova Piazza delle adunanze pubbliche (l’attuale Piazza del Popolo) cominciano a sorgere nuove abitazioni. Nasce anche il Quarto della Giudea, un quartiere destinato ad ospitare, evidentemente, una piccola colonia ebraica, che ha deciso di trasferirsi a Sasso. Lungo la via che collega la Piazza agli antichi rioni e, dall’altro lato, fino alla Fontana Pubblica (l’attuale via Roma, un tempo chiamata semplicemente la Strata), sorgono nuove case e, fra queste, la nuova Casa Palazziata dei Marchesi Caracciolo di Brienza, che l’intraprendente sopradescritta Giulia Caracciolo aveva voluto costruire (acquisendo e poi ampliando la casa del notaio Andrea de Bonomo), perché ormai impossibilitati ad usare l’antico castello per lo stoccaggio delle derrate, alimentari (l’orgio della tassa) e non, rivenienti dai loro diritti feudali sulla Terra del Sasso. Viene popolato il Rione Ospizio, così chiamato perché sorto intorno ad uno Hospitalium, cioè un ricovero per quarantene in tempo di epidemie, molto frequenti, come si può immaginare, all’epoca. Viene popolata Via S. Giacomo (prospiciente l’omonima Cappella, l’attuale via Concezione), sul collegamento fra la chiesa madre e la cappella del Monte dei Morti, fino al rione Fosso. Nasce la Taverna, rigorosamente di proprietà Caracciolo (a proposito di diritti feudali) vicino all’antica Cappella di Santa Sofia, poi di San Rocco, su una delle più importanti vie di transumanza verso i pascoli estivi montani dell’Appennino Lucano[13]. Nasce ancora un altro quartiere, sopra la Fontana Pubblica, detto Pezza la Corte, all’epoca distaccato dal resto dell’abitato.

Nascono inevitabilmente anche nuovi quartieri poveri: il Casale Nuovo o Sopra l’Annunziata, il Quartiere della Manca, nel luogo più freddo ed umido del paese (presso il Monnezzaro); ed il Rione Dietro il Castello, all’estremità di Via del Fosso, sotto la rupe.

Naturalmente non mancano le difficoltà, legate sempre all’inclemenza della natura (siccità, gelate, carestie o epidemie), ma a volte anche alla spregiudicatezza, o all’insipienza, o alla cupidigia degli uomini. Nel 1575 gli amministratori dell’Università del Sasso si vedono costretti ad imporre una gabella straordinaria sotto forma di decima del prodotto per poter far fronte ad un debito di 1500 ducati, più gli interessi, contratti con privati cittadini di altri paesi. “L’Università del Sasso – si legge in una supplica del 1575 alla Regia Camera della Sommaria – espone a V. S. J. come per li tempi estremi che son stati l’anni passati se ritrovano dover dare a diversi soi creditori circa docati milli et cinquecento e ne paga l’interesse a dece per cento per il che non può supplire a li regii pagamenti fiscali, alla satisfazione de le terze e pagamenti de commissarij e per uscire di tali debiti ha determinato con gratia de V. S. J. per anni tre de imponere una gabella et esattione de la decima de tutti li frutti e vituaglie che si fanno fra li cittadini di quella et anco per supplire à detti regii pagamenti fiscali imponere uno carlino per tumulo de macena di tutti vituaglie che se macinano in essa per ditti tre anni et sopra la carne tornese uno per rotolo, atta le sia bastante alli ditti pagamenti fiscali et universali per cabella de la quale impositione et esattione ultra che potrà con comodità supplire alli regii pagamenti fiscali fra detti tre anni sera fuora da detti debiti e con maggior facilità potrà pagare alla Regia Corte detti regii pagamenti fiscali. Supplica V. S. J. se degna darli il suo Regio assenso e sopra ciò interponere decreto acciò per detti tre anni se possa far l’esattione predetta e uscire da detti debiti”[14].

L’assenso viene concesso e gli amministratori di Sasso superano questa contingenza ma vent’anni dopo si ritrovano in una condizione simile ed il 2 dicembre 1596 così scrivono alla Regia Camera della Sommaria: “l’Università et homini de la Terra del Sasso de la Provincia di Basilicata fanno intendere a V. E.za come havendone l’anni passati presi dal monte de la pietà di detta Terra docati quattrocento alla ragione di otto per cento per farne compra di grani per vitto di cittadini et farne magazeno, de quali docati quattrocento in detti anni si ne sono serviti per tale effetto con Regio decreto. Al presente essa Università ritrovandosi in grandissima necessità di grani et per non pigliare altri denari per comprare detti grani si voleno medesimamente servire questo presente anno de li detti denari…”[15].

Stretta nella morsa fra i debiti contratti e l’esosità ed avidità del fisco, la stessa Università del Sasso si vide costretta qualche anno più tardi ad aumentare le gabelle sui cittadini (3 novembre 1605) e poi ancora a chiedere il 18 maggio 1610 di poterle mantenere alte [16]

Atto pubblico dell’Università del Sasso. 1567. Notaio Loreto Civita Archivio di Stato di Potenza. Fondo Pergamene, n° 154

Molto probabilmente l’atto pubblico che il “sindico Francisco Margaglione e gli electi e i cives particulares di Sasso”vanno a rogare nel 1567 dal notaio Loreto Civita è riferito proprio a questa vicenda.

Nonostante le descritte difficoltà economiche, anche per una particolare intraprendenza degli amministratori, la seconda metà del Cinquecento rappresenta per la comunità sassese un periodo di relativa prosperità, che si protrarrà fino ai primi decenni del Seicento, testimoniato anche da un risultato economico che riesce ad ottenere nel 1610, quando l’Università riscatta dal Regio Fisco la gestione della Zecca dei pesi e delle misure, che viene sottratta al feudatario, e per questo risulta tassata di 25 grana a fuoco per un totale di ducati 37_4_13 5/6[17].

 

 

[1] Chi volesse addentrarsi per questi sentieri polverosi potrà consultare la pubblicazione “Populus Petre que cognominatur de augustaldo…”. R. Perrone; RCE Edizioni, 2006. Troverà tutti gli atti di successione e compravendita, così come ricostruiti dall’Archivio Caracciolo di Brienza, seguendo il canovaccio di S. Ammirato, del De Lellis, di Candida Gonzaga, ecc., ma soprattutto la Genealogia dell’Illustre Casa dei Marchesi di Brienza ricostruita con estrema precisione nel 1773 da Michelangelo Pacifici, su commissione del Marchese Litterio Caracciolo,

[2] Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81; pl. 12.

[3] Sarà probabilmente “Fontana del Melo”.

[4] Nel 1588 i Caracciolo di Brienza acquisiscono per la Terra del Sasso, dalla Regia Corte, anche la Portolania, per ducati 260, pagati nella Regia Cassa Militare il 16 settembre 1588, ed altri 150 ducati, pagati il 17 novembre dello stesso anno. Nel Cedolario del 1595 il marchese di Brienza è tassato per la Portolania della Terra del Sasso per ducati 1_2_16.Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81; pl. 12.

[5] Archivio di Stato di Napoli.Regia Camera della Sommaria. Segreteria. Partium 28, anni 1623 a 1633.Vol.  2125 

[6] I cittadini di Sasso, benché spettatori impotenti di fronte a questi passaggi di proprietà, non rimasero del tutto indifferenti. Con un atto del 17 marzo 1581 ottennero che fosse riconosciuto all’Università l’antico diritto che avevano ottenuto dai feudatari precedenti sullo Jus del forno, della Piazza della Fida e della Diffida, per una tassa corrispondente di 54 ducati. Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 77. Pl. 2 (1-33): Apprezzi - Istrumenti per crediti - Scritture diverse (1625-1775)

[7] 49 ne trova il Pedio consultando il “Foculario del Regno di Napoli nella Relazione Leclerc del 1521”:T. Pedio, Un foculario del Regno di Napoli del 1521 e la tassazione focatica dal 1447 al 1595, in “Studi Storici Meridionali”, 3 (1991),  p 255. Questo lavoro è per altri aspetti assai interessante poiché conferma con una serie di dati come la popolazione del Regno di Napoli vada incontro, nel corso del XVI secolo, ad un importante e progressivo incremento.

[8] L. Giustiniani, Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli. Napoli 1797-1816. Voce: Sasso.

[9] Ricordiamo, per dovere di cronaca, il grande terremoto del 1456, che interessò l’area nord della Basilicata, quello del 1466, che interessò tutto il Salernitano, quello della notte del 31 luglio 1561, che scosse violentemente proprio la nostra area, oltre al Vallo di Diano, con migliaia di morti (non sono annotate vittime a Sasso, ma molti sono i morti nei paesi convicini: 100 a Tito, 8 a Pignola, 8 a S. Angelo, 8 pure a Sala, 30 ad Atena, 40 a Polla, 20 a Picerno, ecc.); ed ancora quelli del 1584, del 1586 e del 1592, che pure colpirono la nostra area, come ci ricorda il Claps nell’opuscolo citato (p 20 e succ.). Ed ancora le grandi ondate epidemiche che dopo la grande peste del 1348 si abbatterono periodicamente sulle nostre contrade.

[10]Alfonso I d’Aragona nel parlamento del febbraio-marzo 1443 si accordò con i Baroni sulla riforma tributaria che poneva a base dell’esazione fiscale il numero dei fuochi imponibili…A tale rilevazione procedeva un “numeratore” delegato dal Governo e inviato in ogni università, dove veniva affiancato dai “deputati” locali. Questo era tenuto a farsi consegnare dagli amministratori del luogo qualsiasi documentazione atta a determinare i beni, i redditi, i censi, di cui il capofuoco beneficiava. Le numerazioni dei fuochi erano, dunque, effettivi rilevamenti: da questi rilevamenti ostiatim (effettuati cioè casa per casa) si passava poi alla determinazione dei “fuochi fiscali”. M. R. Barbagallo De Divitiis: Una fonte per lo studio della popolazione del Regno di Napoli: la numerazione dei fuochi del 1732, Roma 1977, p 9.

[11] Archivio di Stato di Napoli, fondo Sommaria, Lict. Ded. Foc., 16, 10 4r.

[12] Agli inizi del Cinquecento era vissuto Don Angiolo Mugnolo (che diede poi il nome all’omonima aia sita nei pressi dell’attuale contrada Boccaglioni), e poi Don Ruggiero Petrone che nel 1559 lasciò la carica di Arciprete a Don Laurenzio de Vito.

[13]La Cappella di Santa Sofia è una evidente testimonianza della presenza anche a Sasso (così come è accertato per i vicini territori del Vallo di Diano e della Val d’Agri, oltre che in altre terre del Melandro, fra cui Brienza) di edifici di culto di rito greco ortodosso. In altra occasione avremo modo di riflettere sul passaggio (diversi secoli prima) dell’antica chiesa di San Marco nell’area d’influenza romana. Poco sappiamo di questa cappella. Una testimonianza ci è data da un atto del 1621 del notaio Donato Margaglione, di Sasso, che la cita. Di sicuro qualche anno più tardi la sua memoria sarà sacrificata al più importante culto di San Rocco, che si diffuse in Basilicata dopo la peste del 1656.

[14] La supplica è accompagnata da una testimonianza del Notaio Horatius Coccia,di 32 anni, del Sasso, fatta a Napoli il 4 luglio 1575, da un’altra del Notaio Oliverius de Stasio, di Marsiconuovo ed infine da un’altra del chierico Troylus Ricca, originario di Contursi, che racconta di aver assistito personalmente all’accensione di un debito, nel 1567 a Picerno, da parte del sindaco e due particolari cittadini del Sasso, con Antonio Miglionico, di Pietrafesa, ed Antonio Perrelli di S. Angelo Le Fratte. Archivio di Stato di Napoli. Sommaria. Consiglio collaterale. Provvisioni. Fascio 3, (ff. 319-322).

[15]Archivio di Stato di Napoli. Sommaria. Consiglio collaterale. Provvisioni. Fascio 23, f. 132.

[16]“Decreto per l’Università del Sasso sopra la prorogatione delle gabelle alias imposte mediante Regio decreto per pagare li regii pagamenti fiscali et supplire ad altre necessità”.Archivio di Stato di Napoli. Sommaria. Consiglio collaterale. Provvisioni. Fascio 50, f. 167. “Decreto per l’Università del Sasso sopra la prorogatione delle gabelle alias imposte mediante Regio decreto per pagare li regii pagamenti fiscali et supplire ad altre necessità”.

[17]Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81; pl. 12.

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