Il Ducato del Sasso

Nel corso dei primi secoli della sua storia millenaria, il piccolo borgo montano della Terra del Sasso (costituito da pastori e boscaioli, qualche artigiano, alcuni preti e notai e poco più), ha avuto come costante la ventura (e sventura) di essere infeudata direttamente alla Corona, vale a dire di non avere una famiglia di feudatari dinasticamente insediata (a parte, forse, la famiglia Saxo/de Saxo, già precedentemente descritta), ma di rispondere, sia per l’amministrazione della giustizia civile e penale (utroque jure) che per i pesi fiscali direttamente al re. Il monarca poi decideva, a suo insindacabile giudizio, se godere direttamente dei benefici feudali o regalarli (o venderli) a persone di sua fiducia, fino alla loro morte o, addirittura, con diritto di successione per i loro eredi.

         Così avviene che negli anni trenta e quaranta del XIII secolo Sasso risulti appartenere a Uguitio Saxofortis (appunto!), cavaliere toscano, fedelissimo dell’Imperatore Federico II.

All’inizio del Trecento Carlo II d’Angiò ne fece dono addirittura al Protonotario e Logoteta Bartolomeo di Capua, professore di diritto civile all’Università degli studi di Napoli, uno dei personaggi più influenti dell’epoca e più rappresentativi della storia medievale del Mezzogiorno.

         All’inizio del Quattrocento, invece, dopo una parentesi di infeudamento alla vicina e potente famiglia Pietrafesa, ritroviamo la Terra del Sasso ancora concessa in dono a Gurrello Origlia, anche costui Gran Protonotario e Logoteta, personaggio di primissimo piano, coinvolto da protagonista in tutte le vicende politiche ai tempi di Re Ladislao d’Angiò Durazzo, di cui fu strenuo e fedelissimo sostenitore.

Non altrettanta fortuna ebbe questa famiglia con la Regina Giovanna II d’Angiò, che, per la fedeltà a lei dimostrata, preferì vendere a Petriccone Caracciolo (per il valore di mille once) la Terra di Brienza, con titolo di Conte, e la Terra del Sasso, sottraendole a Roberto Origlia, figlio di Gurrello.

Ed ai Caracciolo sarebbero appartenute (di fatto) fino all’eversione della feudalità. Ma di tutto questo proveremo a narrare altrove, nei dettagli (se ve ne sarà il tempo e l’opportunità).

Ora ci dilettiamo a raccontare di una storia particolare accaduta alla Terra del Sasso, verso la metà del seicento, quando il Meridione d’Italia era un Viceregno spagnolo.

Alla corte di Napoli imperversavano dignitari spagnoli (senza legami con il territorio, se non quello di prelevare risorse e ricchezze, alla stregua di quello che accadeva in Sud America ed in tanti altri luoghi occupati dagli spagnoli) e nobili locali, arrivisti, opportunisti e senza scrupoli (anch’essi più impegnati a beneficiare dei fasti della corte che a curare le terre a loro infeudate).

“Ma i dolori dei popoli di Spagna non potevano eguagliare quelli sofferti dalle infelici provincie Napolitane– ci ricorda il dottor Salvatore De Renzi nella sua “Napoli nell’anno 1656…”imperocchè un secolo e mezzo di governo viceregnale aveva inaridita ogni sorgente di prosperità,e la penuria di tutte le cose necessarie alla vita aveva gittato nella miseria quasi tutte quelle popolazioni. Per mezzo delle usure e dei soprusi alcune famiglie spagnuole erano salite a straordinarie ricchezze spremute dalle mezzane fortune…. Il bisogno e la miseria spesso sono i primi passi al delitto, ed il delitto diveniva quasi necessità. La sicurezza pubblica mancava pertutto, e le campagne si popolavano di ladri e le città di camorristi. I libertini con poca moneta eran sicuri di soddisfare i loro appetiti, e la dignità e l'onore delle famiglie non avevano pregio, e la contaminazione non provava rossore. La mano armata del ferro omicida era venduta per poco prezzo al prepotente; ed i bravi… seminavano nella società il veleno della forza brutale, che toglieva ogni vigore alle leggi, introduceva la paura nell'animo dei magistrati, il cavillo in mezzo ad ogni quistione, e quando a caso talor trionfava la giustizia venivano i pugnali a decidere l'estrema ragione. I privilegii de'feudatarii laici ed ecclesiastici, e le immunità de'preti, ed il foro speciale concesso agli uomini di Chiesa, erano i mezzi di prostituzione sociale, e la prima volta si sentì disonorare i cinque sesti della società col titolo di proletarii condannati alla vergogna ed alla miseria…” Questo era il clima in cui sarebbe maturata la “Rivolta di Masaniello”.

In quella Corte si aggira, a suo agio, fra tali personaggi, Giuseppe Caracciolo, Principe di Atena, uomo avido e spregiudicato, crudele (per come ce lo consegnano le cronache del tempo), che solo la peste riesce a fermare.

Nell’anno 1623 Giacomo Caracciolo, che dopo la morte del fratello primogenito Marcantonio è diventato erede universale della casa Caracciolo Rossi di Brienza, vende alla madre Diana le Terre del Sasso e di Atena, per il prezzo di 39000 ducati.“in anno 1628 si presta l’assenso alla vendita col patto de retrocedendo per sei anni della terra di Atena e dello Sasso facta per Giacomo Caracciolo Marchese di Brienza e Diana Caracciolo Marchesa di Brienza sua madre pel prezzo di ducati 39 mila con condizione che se passato il termine di sei anni non sarà fatta retrovendita s’intendono vendute libere per l’istesso prezzo di ducati 39 mila” [1]. Diana Caracciolo ha una spiccata preferenza per il terzogenito Giuseppe (o è quest’ultimo particolarmente intrigante e ambizioso); fatto sta che il 20 ottobre 1637, con istrumento redatto dal notaio Pietro Antonio dell’Aversana di Napoli, Diana Caracciolo vende al figlio Giuseppe, che l’anno precedente è stato nominato Principe di Atena, la Terra del Sasso, per 20000 ducati da pagarsi nell’arco di 10 anni.[2] Il 31 ottobre 1637 il notaio Lelio Conte di Atena stipula un atto in cui Giuseppe Caracciolo prende possesso della Terra del Sasso.[3] Il Vicerè di Napoli, Duca di Medina, darà l’assenso il 21 novembre del 1640. Segue di qualche mese, 29 gennaio 1641, il privilegio concesso da Filippo IV contenente l’assicurazione dei vassalli della Terra del Sasso al Principe Giuseppe Caracciolo.Un altro atto, datato 11 maggio 1641, rogato dal notaio di Polla Pietro Curcio, sancisce formalmente, se mai ce ne fosse ancora bisogno, a distanza di quattro anni, il “ligio omaggio et assicurazione de’ vassalli della Terra del Sasso al Principe di Atena Giuseppe Caracciolo”. [4]

Tanta fedeltà da parte dei vassalli di Sasso non è però corrisposta dal proprio signore che, appena quattro anni più tardi, nel marzo del 1645, vendette la Terra del Sasso ad Achille Capece Minutolo, nobile napoletano, per 2000 ducati, “cum castro seu fortelitio, hominibus, vaxallis, vaxallorumque redditibus, etc., cum Banco justitiae etc”. La vendita fu registrata nel Regio Quinternione, come si usava all’epoca, ma si trattò in realtà di una grossa farsa, perpetrata non solo alle spalle della popolazione di Sasso, ma anche (non sappiamo se con connivenza dei cortigiani napoletani) ai danni della corona.

Con ogni probabilità qualche alto funzionario regio napoletano, o il viceré in persona, era in debito con Achille Capece Minutolo per chissà quale servigio reso e gli aveva promesso che, purché fosse in grado di dimostrare la proprietà anche di un piccolo feudo sperduto fra le montagne, avrebbe ottenuto un eclatante titolo nobiliare.

Detto, fatto! Si guarda intorno, cerca fra gli amici e ne trova uno disposto a fingere di vendergli un feudo: la Terra del Sasso.

Naturalmente vi è necessità di tutelare se stessi ed i propri eredi di fronte ad un atto di vendita finto sì ma con tutti i valori delle leggi vigenti. Allora, un mese prima di stipulare l’atto in cui sarà dichiarata la vendita i due si ritrovano davanti al notaio Nicola Avangelista, di Napoli, e gli danno l’incarico di redigere un istrumento “col quale si dichiara fittizia la vendita che si farà da Don Giuseppe Caracciolo in beneficio di Don Achille Capece Minutolo”. È il 17 febbraio 1645. Nell’atto si legge testualmente: “…E perché detta vendita si farà da detto Sign. Principe a detto Sign. Achille a certo fine, e non che realmente havesse da havere il suo effetto, e così anco la promessa che si farà da detto Sign. Achille di pagar al detto Sign. Principe li detti ducati ventimila… né meno dovrà havere l’effetto suo, facendosi il tutto a certo fine… però esso Sign. Achille dichiara che in detta compra da lui facienda dal detto Sign. Principe della detta Terra del Sasso, esso Sign. Achille ci avrà solamente il nudo nome… tutte le cose che si dichiareranno, faranno et obligaranno nel detto istrumento conficiendo di detta Terra non haveranno, né sortiranno l’effetto loro, ma si dichiararanno, faranno, promettarranno per le cause di sopra espresse…”.[5]

Le cose procedono secondo le previsioni ed il 15 novembre del 1645, Achille Capece Minutolo ebbe, dalVicerè di Napoli Alfonso Henriquez de Cabrera, il titolo di Duca del Sasso, in questa forma: “Tituli privilegium sit et esse debent domini Achilli Minutuli, ejusque eredibus et successoribus semper stabile; fidelitate tamen nostra, feudali quoque servitio seu adhoa, notrisque aliis et alterius cujus vis juribus sempersalvis”.

Dunque, a partire da questa data Sasso è un feudo con titolo nobiliare proprio, e sicuramente è anche un titolo (Ducato) spropositato rispetto all’entità del feudo, ma verosimilmente vicino all’importanza e alla stima che godeva il personaggio alla Corte del Viceregno di Napoli.

Non ci si deve meravigliare di queste pratiche, poiché sono state sempre molto frequenti e proprio in quell’epoca devono aver assunto proporzioni ragguardevoli, tant’è che un attento testimone ed osservatore dell’epoca (il frate agostiniano Luca Mannelli, nato a Teggiano e morto a Salerno nel 1672) ebbe a lamentarsi con queste amare parole: “…hoggi giorno sono quasi che innumerevoli gli Prencipi, Duchi, Marchesi e Conti dè quali molti han comprato con poca spesa questi titoli, anco sopra casali, e talhora non so dove, et in aria. Così crescendo in titoli, son mancati di stato, godendo pascersi di fumo molti Signori moderni. Ma qui si fermi la penna…”.[6]

Ma chi era realmente Achille Capece Minutolo? Di sicuro già influente nella Corte del Viceregno di Napoli, divenne un grande protagonista delle vicende politiche napoletane di quegli anni e della rivolta di Masaniello, come possiamo dedurre sfogliando il Diario contenente la storia delle cose avvenute nel Reame di Napoli negli anni 1647-1650di F. Capecelatro:“…tutti i giorni si recava al castello (Castel Nuovo) il Maestro di Campo Achille Minutolo, Duca del Sasso, del Consiglio di Stato e Cavaliere dell’abito di S. Giacomo…”.[7] È citato come voce autorevole fra i Consiglieri di Stato: “…della qual cosa irato il Duca (di Nocera) ne passò poi gravi parole con Achille Minutolo, Duca del Sasso, uno dei Consiglieri di Stato, che anche egli risentitamente ne rispose…”. E quando si tratta di assumere gravi decisioni in merito alla ribellione popolare crescente, non esita a pronunciarsi con fermezza per la moderazione e per una trattativa che venga incontro alle istanze popolari, tanto da firmare, insieme ad altri due saggi un documento che è una petizione a Don Giovanni d’Austria, figlio naturale del Re di Spagna e Ammiraglio della flotta spagnola, affinché si arrivi ad un accordo e non allo scontro con i rivoltosi. “Sabato 5 di ottobre (1647) – riferisce Capecelatro nel suo diario – …dopo lunga consulta e contrasto fatto dal Viceré se si doveva con le armi e col rigore sottomettere il popolo… si risolvette di rompergli la guerra non ostante che vi avessero costantemente e concordemente contraddetto, con protestarsene anche con scrittura che presentarono a Don Giovanni d’Austria, ai suoi consiglieri e allo stesso Viceré, il Maestro di Campo Achille Minutolo, Duca del Sasso… tutti e tre  Cavalieri dell’abito di San Giacomo e del Consiglio Collaterale…”[8]. Gli spagnoli avranno a pentirsene – commenta poi amaramente Capecelatro – per non aver ascoltato i consigli di Achille Minutolo sulla guerra. [9] Il giorno dopo quell’infocato parlamento (domenica 6 ottobre 1647) Achille Capece Minutolo fu ferito leggermente alla fronte da una schioppettata, mentre si trovava dentro Castel Nuovo, e dopo una ventina di giorni guarì [10]. Nulla di grave, ma questo contrattempo gli impedì di assumere l’incarico di Comandante dell’esercito dei baroni, che il Viceré decise di affidare a Vincenzo Tuttavilla“…per non esservi altro miglior di lui, stando il Maestro di Campo Achille Minutolo ferito leggiermente di una palla di moschetto in fronte (tratta dai popolani da i prossimi alberghi del Castel Nuovo, mentre per esso passeggiava Achille, che se fosse stata più dappresso l’avrebbe ucciso)…”[11]. Era il 15 ottobre 1647: “…fu il medesimo giorno dichiarato per capo dell’esercito dei Baroni del Viceré il Luogotenente Generale della Cavalleria Vincenzo Tuttavilla, non avendo voluto ricevere cotal carico il Cardinal Trivulzio ed il Generale Carlo della Gatta, e ritrovandosi leggermente ferito il Duca del Sasso…”[12].

Nonostante ciò, rimase fra i più attivi protagonisti di quei giorni difficili. Nel ristretto elenco dei nobili che nel gennaio 1648, secondo Capecelatro, erano fedelissimi al Viceré, abbiamo naturalmente “ Achille Minutolo, Duca del Sasso, Cavaliere dell’abito di S. Giacomo e del Consiglio di Stato…”[13]. Mercoledì 29 gennaio 1648 “Achille Minutolo, Duca del Sasso, del Consiglio Collaterale, viene chiamato da Don Giovanni d’Austria a far parte della Giunta della Guerra”[14]. E qualche giorno dopo, il 5 febbraio 1648, è fra i nobili fedeli al Viceré che scrivono una supplica a Don Giovanni d’Austria [15]. Lo stesso Viceré salpa il 31 marzo 1648, con due galee, verso Nisida e porta con sé il Duca del Sasso[16]. Il 6 aprile è a fianco di Don Giovanni d’Austria e del Viceré in una sortita per le vie di Napoli [17]ed ancora al loro fianco in un’altra sortita del 6 giugno 1648 [18]. Il 12 giugno è invece impegnato da solo in una missione richiesta dal Viceré[19]. Ed ancora è segnalato come foriero di buon senso lunedì 28 settembre 1648 [20].

E la stima che gode non riguarda solo il Viceré, gli spagnoli ed i nobili della sua parte, ma anche il popolo ed i suoi rappresentanti ne riconoscono il valore ed il carisma, se si rivolgono a lui, nell’estate del 1648, per chiedere di controllare i nobili che si danno ad eccessi e meditano vendette contro i rivoltosi. “I nobili – dichiarano a proposito alcuni uomini savi del Popolo al Principe di Massa, D. Francesco Toraldo, maestro di campo, e al Duca del Sasso, D. Achille Minutolo – son quelli che vogliono star sulla vendetta e questo ve lo rappresentiamo, non solo perché siete del Consiglio di Stato, ma anco perché siete Nobili e Cittadini Napoletani, e di grazia vedete di rimediare” [21].

Questo ci rende l’idea di quanto valesse davvero Achille Capece Minutolo alla corte del Vicereame napoletano, ma con Sasso, al di là dell’altisonante titolo nobiliare,ebbe davvero poco o nulla a che fare.

E la storia del Ducato del Sasso non finisce qui.

Dalla Relazione di F. NardiPel Cavaliere Capece Minutolo contro il Principe Ruffo”[22]si deduce che il titolo di Duca del Sasso rimarrà alla famiglia Capece Minutolo fino alla morte di Giuseppe Capece Minutolo, Tenente Generale e Capitano della Compagnia delle Regie Guardie del Corpo a cavallo, avvenuta nel 1830, che, essendo celibe, non lasciò eredi diretti. Da questo momento nasce una lunghissima disputa legale per stabilire a chi spettasse il diritto di fregiarsi del titolo diDuca del Sasso tra la famiglia Ruffo, e un altro ramo della famiglia Capece Minutolo. Fabrizio Ruffo intenta una causa contro Giovanni Battista Capece Minutolo, intorno al 1880, perché a quest’ultimo venga proibito di fregiarsi del titolo; vengono consultati esperti di diritto feudale, come il commendator Carlo Padiglione e l’avvocato Federico Nardi, il quale alla fine di una lunga e puntigliosa relazione, datata luglio 1880, conclude che a suo parere il titolo di Duca del Sasso non è stato usurpato da nessuno, poiché con la morte di Giuseppe Capece Minutolo sarebbe stato reincamerato dalla Corona.

E davvero questo dovette accadere, ma nel 1929 il titolo di Duca del Sasso(che suona anche molto bene!) venne riesumato nuovamente, con Regio Decreto del 2-8-1929 e Regie Lettere Patenti del 14-11-1929, a favore di Francesco Capece Minutolo, dei Duchi di San Valentino, Marchesi di Bugnano e ,appunto, Duchi di Sasso; costui, nato il 4-8-1858 e sposato il 10-10-1885 con Anna Maria Tommasi dei Marchesi di Casalicchio, trasmise il titolo al figlio Giuseppe (ultimo di 11 figli, nato a Napoli il 18-6-1899, Cavaliere d’Onore e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, che sposò il 6-12-1930 Anna Caravita, dei Principi di Sirignano), il quale a sua volta lo ha passato al figlio Francesco (nato a Napoli il 14-10-1931e sposato dal 29-6-1957 con Laura delli Santi Cimaglia Gonzaga), che ancora oggi si fregia di questo altisonante titolo.

 

[1]Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81; pl. 12.

[2]Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81; Perg. 5 (1637, 20 ottobre, VI – Napoli): Istr. per not. Pietro Antonio dell’Aversana di Napoli.Nell’atto, oltre naturalmente a tutti i diritti feudali, sono elencati anche i beni materiali e le rendite dei feudatari di Brienza a Sasso. Vi è il Castello, 100 ducati che paga l’Università insieme a 33 tomoli e 3 stoppelli e mezzo di orzo, la Mastrodattia di prime e seconde cause, la Portolania, la Zecca di pesi e misure, la Taverna, censi dalla Foresta e censi diversi per la difesa di Tigliano, tanto per l’erba e ghiande quanto per il terraggio, e per quella di Petridici, sia imboscato che coltivatorio, il mulino, la Diserta, i terraggi delle terre demaniali, i prati alla Vardonica, la rendita in orzo di Giulio Doto, l’altra rendita in orzo di Urso Lancone, i prati dell’Acquaro di riso, 190 tomoli di terre burgensatiche, la casa con l’orto, l’altro orto al Fosso alberato a gelsi, il vottaro alla Ruga della Grotta.

[3]Ivi. Sono presenti, per l’atto di omaggio ed obbedienza al nuovo signore, il sindaco Angelo Coronato, gli eletti Leonardo Scelzo e Francesco Di Vito e i civesparticulares, tra i più anziani e più rappresentativi del paese, come è sottolineato nell’atto stesso: Mario Margaglione, Giovan Camillo Doto, Giulio Rotundo, Leonardo Rotundo, Andrea Scelzo, Francesco Langone, mastro Giovan Leonardo Taurisano, Ortensio Di Vito, Giulio Langone, Pietro Laviano, Francesco Cappa, Pascariello Camerota, Felice Nigro, Tonno Beneventano, Giulio Miglione, Alessandro Perrotto, Antonio Rotundo, Giuseppe Margaglione, Persio Camerota, Domenico Petrullo, Massenzio Leopardo, Onofrio Di Luca e Camillo Taurisano.

[4]Ivi.Perg. 9 (1641, 11 maggio, Sasso): Istr. per notar Pietro Curcio di Polla.Questa volta sono il sindaco Camillo Ceraso e gli eletti Geronimo Del Giurato, Antonello Di Luca, Antonio Di Vito e Leonardo Taurisano a giurare fedeltà. L’atto è sottoscritto dal clero della Chiesa di Sasso.

[5]Archivio di Stato di Napoli. Archivio Caracciolo di Brienza. Busta 81; pl. 12.

[6]F. Strazzullo, “La Lucania sconosciuta” in un Manoscritto di Luca Mannelli della Biblioteca Nazionale di Napoli,in “Studi Lucani”, Galatina 1976, p 284.

[7]F. Capecelatro, Diario contenente…,Napoli (1850-1854), vol. I, p 234.

[8]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 22 e succ. (n 2).

[9]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 46.

[10]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 37 (n 3).

[11]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 81.

[12]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 90.

[13]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 478.

[14]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 489.

[15]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 512.

[16]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. II, p 596.

[17]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. IV, Parte III. p 21.

[18]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. IV, p 294.

[19]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. IV, p 311.

[20]F. Capecelatro, Diario contenente…, citato, vol. IV, p 488.

[21]M. A.SchipaLa cosiddetta Rivoluzione di Masaniello (da memorie contemporanee inedite); in Archivio Storico per le Province Napoletane. Anno 1917.Parte II. p 90. (da M. Verde: Sollevazione; f 540).

[22]F. Nardi “Pel Cavaliere Capece Minutolo contro il Principe Ruffo” Relazione al Tribunale di Napoli – Seconda Sezione Civile. Napoli 1882.

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