Famiglia Sasso secondo capitolo

Famiglia Sasso secondo capitolo

Abbiamo visto, dunque, come la Famiglia De Sasso incrocia (e non proprio da comparsa) uno dei momenti cruciali della storia del Mezzogiorno d’Italia ed in particolar modo delle Basilicata.

Abbiamo da pochi anni superato il primo millennio dell’era cristiana. Le nostre terre sono divise fra Principi, Duchi, Conti e Gastaldi longobardi, in perenne conflitto fra di loro; e sotto pressione costante degli eserciti bizantini, che occupano ancora la Puglia, la Basilicata orientale e gran parte della Calabria. Per secoli il confine fra il mondo longobardo del Ducato di Benevento (e, nello specifico del Principato di Salerno, dopo l’accordo dell’anno 851) ed il Tema Bizantino di Langobardia, era corso proprio per queste valli, con modifiche continue, per le alterne fortune che strateghi e catapani bizantini riuscivano ad ottenere sui campi di battaglia e le turbolenze ed i capricci dei signori longobardi (che il gioco delle alleanze della famigerata diplomazia bizantina animava ad arte).

E le bande saracene, approfittando di questa situazione di conflittualità di tutti contro tutti e di conseguente totale abbandono del governo del territorio, dopo aver depredato ed atterrito per secoli le città costiere, soprattutto del Tirreno, si erano spinti ormai incontrastati lungo i corsi dei fiumi, fino a raggiungere il cuore del nostro territorio e fermarvisi in modo stanziale per lungo tempo. Tanti nostri borghi sono costellati di Rabatane (veri e propri quartieri arabi, incastonati ed integrati negli  abitati): da Tursi a Tricarico, da Pietrapertosa ad Abriola, a Castel Saraceno. Ed i racconti della distruzione di Grumentum o dell’epica battaglia di San Luca ad Armento ancora rimbombano nella memoria storica di questi luoghi.

Eppure non solo bande armate di pirati saraceni, o eserciti che si inseguivano, e si scontravano, con alterne fortune, mettendo a ferro e fuoco tutto, abitati e colture, infestarono queste terre.

Arrivarono, negli ultimi due secoli del primo millennio (ed ancora agli albori del nuovo), anche miti e laboriosi monaci di rito greco. Dapprima in forma isolata, in cerca di luoghi di romitaggio, poi via via in forma sempre più organizzata, con famiglie ed interi villaggi al seguito, in fuga dalla Sicilia caduta in mano agli arabi, ma soprattutto in cerca di nuove terre da coltivare ed abitare. Ed i Principi Longobardi furono ben felici di accoglierli e di stimolarne gli stanziamenti, perché portavano il ritorno dell’agricoltura e dell’allevamento, ripopolavano borghi abbandonati e fondavano nuovi abitati, laure, cenobi, riportando un po’ di pace e serenità in luoghi che non ne vedevano da troppo tempo, dalla caduta dell’impero romano.[1]

In questo contesto arrivarono dalle nostre parti schiere di guerrieri Normanni, preceduti dalla fama delle loro gesta al servizio degli imperatori bizantini, richiamati dagli stessi principi longobardi per difendersi dalle scorribande saracene o dall’attacco di altri signori ribelli.

Abili guerrieri, tanto impavidi e feroci, quanto astuti e spregiudicati nel fare e disfare alleanze, arrivarono a varie ondate, nei primi decenni del nuovo millennio; soprattutto al seguito di due famiglie: quella dei Drengot-Quarrel, in una prima fase, e quella degli Altavilla poco più avanti, che diedero poi vita alla stirpe regnante dei Normanni del sud.

Un altro fattore contribuì, comunque, notevolmente alla fortuna dell’espansione normanna: l’accelerazione al processo di latinizzazione che il papato di Roma (in particolar modo con Leone IX) aveva impresso su tutti i territori, specialmente italiani, e che innalzò la tensione con il Patriarcato di Costantinopoli e con tutta la chiesa di rito greco orientale, fino alla definitiva rottura del 1054, in quello che ancora oggi è ricordato come il Grande Scisma d’Oriente.[2]

L’arrivo degli uomini del nord fu salutato inizialmente dai longobardi e dalla stessa chiesa, come provvidenziale:“Et vindrent armés, non come anemis, més come angele”, sosteneva enfaticamente Amato di Montecassino.[3]

Ben presto la presenza normanna divenne ingombrante per i Principi Longobardi e per il Papa di Roma, fino a sfociare in un vero scontro armato in campo aperto (la battaglia di Civitate del 1053), in cui le truppe guidate dalle famiglie normanne Drengot-Quarrel ed Altavilla ebbero la meglio e Papa Leone IX fu fatto addirittura prigioniero. Il suo successore, Niccolò II, si risolse a scendere a patto con i vincitori, firmando un Concordato, suggellato definitivamente dal Concilio di Melfi dell’agosto 1059.

Roberto il Guiscardo nominato duca da Papa Niccolò II

Fu riconosciuto formalmente il ruolo di braccio secolare del papato, per le due casate normanne, che, in cambio, per riconoscenza,si impegnavano a favorire, su tutti i territori occupati, il ritorno al culto latino della Chiesa di Roma. Nel corso degli anni successivi si procedette alla sostituzione sistematica di vescovi e preti di rito greco-ortodosso con prelati di fiducia; i più importanti monasteri ortodossi furono piegati all'autorità feudale di vescovi o abati di fiducia; furono edificate chiese e monasteri cattolici dedicati al dogma trinitario (fra tutte l’Abbazia di Cava), che cominciarono la loro fortunata espansione in tutto il Mezzogiorno.

Questo era il contesto in cui si muoveva Ottone (Oddo) de Saxo, in quei lontani anni 1068 e 1070. Non abbiamo ritrovato altri riferimenti documentari alla sua figura. Non sappiamo se fosse Normanno, Longobardo o altro. Possiamo solo dedurre che sia stato molto conosciuto, potente ed autorevole, per aver avuto, dai Normanni in fase di assestamento, altri due feudi (Rocca d’Acino e Petra d’Acino) oltre a quello (Saxum) che gli da il cognome.[4]

Ma è veramente esistito o, come sostiene di Meo, solo un’invenzione dei notai al servizio della Diocesi di Tricarico?

Ebbene, con grande giubilo e soddisfazione,possiamo affermare, con certezza di documentazione, che non solo è esistito, ma ha davvero goduto di grande fama e prestigio presso la gens normanna, in un vasto territorio.

Giusto trent’anni dopo il primo documento da lui firmato ritroviamo un altro documento, in tutt’altro contesto, in cui Oddo de Saxo viene citato per dare autorevolezza alla testimonianza del figlio Elia. Costui firma in calce ad un atto di donazione al Monastero di Santa Maria di Pertosa, che è appena passata nell’orbita dell’Abbazia di Cava.[5] Ve ne proponiamo il documento nella versione che Trinchera ne ha dato dell’originale in greco, che ognuno presso lo stesso potrà consultare.[6]

  1. Mense Iunio 24. Indict. VI.

Robertus, Guilelmus et Umfridas fratres de Caucigiano donant monastcrio S. Mariae de Pertusia praedium situm subtus viam Consinam,

† Signum manus Roberti. † Signum manus Guilelmi. † Signum manus Umfridae filiorum Guilelmi de Caucigiano et domini Caciani. Nos tres, qui venerandam et vivificam crucem signavimus, de propria nostra voluntate offerimus S. Mariae de Pertusia praedium, quod erat Ioannis de Alitza, situm subtus viam Consinam, pro anima nostri patris, et nostrae matris, ac nostra ipsorum; ut fratres qui monasterio SS. Deiparae inserviunt, potestatem habeant terram colendi, utpote qui dominium et potestatem a nobis acceperunt. Sunt vero fines eiusdem territorii: ad orientem via publica, quae pergit ad Serram Olithae, et ad partem inferiorem vallis, et incipiunt fines Oclifabae, et pergunt usque ad saxum magnum, et inde usque ad quercum, ubi se offert aliud saxum stabile, et vadit usque ad saxum magnum, quod est iuxta viam, et ascendit via usque ad viam Consinam. Si vero, quodfore non putamus, molestiam quis afferre vobis quoad hoc praedium praesumpserit, in primis maledictus sit a Patre, et Filio, et Spiritu Sancto, a duodecim Apostolis, a tercentis octo et decem divinis Patribus, et separatus sit a christianorum communione; tum poenae nomine solvat Praetorio numismata sex et triginta, et invitus taceat. Actum coram testibus:

Elias filius Oti de Sasso testis.[7]

† Iacobus Maraldus testis.

† Continus testis.

† Presbyter Constantinus filius presbiteri Dominici testis.

† Presbyter Leo Vicecomes testis.

† Scriptum manu Nicetae presbyteri et notarii, die XXIV mensis iunii, feria V, anno 6606, indictione VI, quo tempore Comes Rogerius obsidebat Capuam.

Due annotazioni, a margine di questo documento.

La pubblicazione di questa pergamena è da considerarsi un dono  della Prof. Rosanna Alaggio

La prima: a parte i tre fratelli, signori di Caggiano, che sono gli autori della donazione, il teste più importante è prorpio Elia figlio di Otto di Sasso, che difatti è il primo firmatario. La seconda: è singolare l’anatema che viene lanciato per chi oserà contravvenire a tale donazione; incorrerà, oltre che in una pena pecuniaria, in una articolata maledizione da parte del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, dai dodici Apostoli e dai trecento e diciotto Padri della Chiesa e nella definitiva separazione dalla comunità cristiana.

Anche Di Meo trova questa donazione e ne annota il regesto in questo modo: “Nell’Archivio della Cava (Arca 8. n. 93) si ha una donazione fatta da Roberto, Guidelmo, e Umfredo, figli di Guidelmo Caucigiano, Signori di Cajano, nella strada Consina, al Monistero di S. Maria di Pertosa: Anno M. 6606. Ind. VI die 24 Junii, feria V (esattamente)”.[8] E non da giudizi sulla veridicità della pergamena.

Era il lontano 24 giugno 1098. Pochi mesi dopo gli stessi fratelli fanno un’altra donazione al Monastero S. Maria di Pertosa. Questa volta solo Roberto, uno dei tre fratelli, viene appellato Signore di Caggiano, e si assume in prima persona l’onere e l’onore della nuova donazione. E questa volta Elia diventa il terzo firmatario, dopo Guglielmo ed Onfrida, fratelli di Roberto. Ve ne proponiamo il testo latino:

  1. Mense Februario 19. Indict. VII.[9]

Robertus Caciani dominus fundum donat monasterio S. Mariae de Pertusia.

† Signum manus Roberti domini Caciani. Ego Robertus, qui veuerandam et vivificam crucem signavi, de propria mea voluntate concedo pro anima mea monasterio S. Mariae de Pertusia territorium, quod erat Ioannis Alitzi, hac conditione, ut fratres, qui monasterio inserviunt, habeant potestatem (illud) colendi, vendendi, donandi, utpote qui huiusmodi facultatem a me acceperunt. Termini autem eiusdem tcrritorii sunt: ad orientem via publica; ad septentrionem ipsi monachi, et vadit usque ad terminos Sergii Oclifabae, et ascendit rivus usque ad saxum magnum rivi, et pergit usque ad quercum, et ad maceriam lapidum, et erumpit ad duo saxa, quorum unum est iuxta viam, et ascendit ac claudit praedictum monachorum territorium. Si quis vero, quodfore non putamus, ausus fuerit vos molestare de huiusmodi territorio, primum maledictus sit a Patre, et Filio, et Spiritu Sancto, et a tercentis octo et decem divinis Patribus, et separatus sit a christianis: solvat etiam Fisco publico numismata sex et triginta, et invitus silcat. Praeseutibus testibus:

† Gulielmus frater domini.

† Umfridas eius frater testis.

Elias filius Oti Sassi testis.[10]

† Presbyter Constantinus filius presbyteri Dominici testis.

† Presbyter Leo Vicecomestestis.

† Leo de Corneto testis.

† Nicolaus filius Ursi Consentini testis.

† Scriptum manu Nicetae presbyteri et notarii, die sabbati XIX mensis februarii, anno 6607, indictione VII.

Come si può notare: stessa formula, stesso notaio, anche lo stesso anatema.

Si definisce meglio il ruolo di questo Elia, che per la verità compare già in un altro atto degli stessi attori, del marzo 1092, in cui addirittura viene fatto passare per uno dei fratelli. Ve ne proponiamo come al solito il testo latino, alleggerito del consueto anatema e con il pezzo che riguarda Elia anche la versione originale greca:

  1. Mense Martio Indict. XV.[11]

Robertus dominum Caciani eiusque fratres pro redemptione animarum suarum donant monasterio S. Mariae de Pertusia territorium situm in loco dicto Strata Consina.

† Signum manus Roberti domini Caciani filii Guilielmi Caucigiani, simul cum meis fratribus Guilielmo et Omfrida. Offero ego Robertus Sanctissimae Deiparae de Pertusia meoque monasterio territorium situm in loco, ubi dicitur Strata Consina, pro anima patris mei et matris meae meorumque fratrum et mea ipsius, ut habeat potestatem ipsum colendi, quemadmodum facit de aliis quae possidet idem monasterium, usque ad finem seculorum. Fines vero eiusdem territorii sunt, a Strata Consina, ut descendit torrens de Vado malo iuxta territorium Constantini Manufraddae, et ut recta ascendit Serra S. Angeli, et supra S. Angelum adit ad Petram firmam, ubi est Lentiscus, et ducit ad medium viae publicae, et descendit ad viam, et clauditur in eodem torrente de Vado malo...Praesentibus testibus.

† Omfridas frater domini Roberti testis.

† Elias frater ipsius domini Roberti testis  ελία ο αυτ(αδελφώς του αότου) αυθέντου μαρτυρ

† Presbyter… Leo Vicecomes de Corneto filius...

Theodosius testis.

† Scriptum manu Nicetae presbyteri et notarii, mense martio die...feria tertia,

anno 6600, indictione XV.

In questo atto (che pure presenta sostanzialmente gli stessi attori ed è redatto dallo stesso prete e notaio Niceta) ci sono alcune contraddizioni che, forse, possono rafforzare l’idea che ci siamo fatti di Elia. Non troviamo l’appellativo “figlio di Otto di Sasso” che abbiamo negli altri due atti successivi, che abbiamo già analizzato e, quindi, potrebbe essere altra persona. Tuttavia non crediamo si tratti di un altro fratello, per quanto sia così tradotto dal Trinchera (con un “αδελφς του αότουfra parentesi che è alquanto sospetto), poiché i fratelli sono citati in cima all’atto e sono sempre e solo Guglielmo (che però manca alla firma) e Umfredo, che difatti, in ordine di importanza, firma prima di Elia.

Immaginiamo invece di avere a che fare con un amico fraterno, magari cugino, insomma il familiare nostrum che i signori dell’epoca davano come etichetta di autorevolezza a persone di propria fiducia.

E, con ogni probabilità, anche qualche cosa di più, se Roberto, signore di Caggiano, ha sentito la necessità di istituire un legato a Santa Maria di Pertosa per far dire messe per l’anima di Elia, allorché è morto (non sappiamo quando). Ci fa luce su questo un ulteriore atto, del novembre 1127, in cui Ruggiero, il nuovo Signore di Caggiano, insieme alla madre Adelitza, il giorno in cui è morto il padre e, rispettivamente, il marito Roberto, donano la Chiesa di San Nicola di Pertosa, con tutti i beni che ivi possiede il presbyter monachus et abbas Canaci, al Monastero di S. Maria di Pertosa ed in questo modo anche all’Abbazia della SS. Trinità di Cava. Addirittura si specifica che la donazione deve servire anche a “liberare l’anima del defunto Roberto, che aveva voluto istituire un legato per la celebrazione di messe a favore dell’anima del defunto Elia”. Anche di questo ve ne proponiamo i tratti più importanti della versione latina che ne da il Trinchera:

  1. Mense Novembri 13. Indict. VI.[12]

Rogerius dominus Caciani et mater eius Adelitza donant monastcrio SS. Trinitatis et SS. Deiparae de Pertusia ecclesiam S. Nicolai de Pertusia, et bona, quae possedit presbyter monachus et abbas Canaci.

† In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Signum manus Rogerii Domini Caciani, et matris meae Adelitzae. Nos qui sanctam et vivificam crucem fecimus, de propria nostra sententia et bona voluntate offerimus et donamus Deo, et S. Trinitati, et S. Deiparae Mariae de Pertusia, pro anima beatae memoriae Ruperti Domini Caciani, ecclesiam S. Nicolai de Pertusia, et quaecumque possedit presbyter Canaci monachus et abbas unum diem et unam noctem territoria, vineas et arbores fructiferas atque silvestres, excepto nemore; hoc pacto, ut monachi inservire faciant ecclesiae S. Nicolai de Pertusia unum par boum, unum monachum et unum presbyterum, et eleemosynam distribuant, et sacris precibus vacent pro anima beatae memoriae domini Ruperti, et pro anima domini Rogerii, et pro anima dominae Adelitzae, et pro anima beatae memoriae Eliae, ut liberationem consequatur anima beatae memoriae Ruperti, qui eleemosynas ad missarum celebrationem fieri voluit pro anima beatae memoriae Eliae… Scriptum manu Nicolai presbyteri et notarii die dominica XIII mensis novembris, hora IX, quum esset Vicecomes Nicolaus filius Constantini Corviseri, anno 6636, indictione VI, quando obiit dominus meus Rupertus.

E qui si interrompe, per ora la saga della Famiglia De Sasso. La ritroveremo, ancora ricca e potente, nel secolo successivo, in altri luoghi ed affaccendata in altre vicende.

 

[1]Alaggio R. Nelle Terre dei Principi. Monaci e comunità italo-greche nel Principato Longobardo di Salerno

 

[2] Grande Scisma dei Latini è definito invece dalla chiesa ortodossa.

[3] Aimé, Moine Du Mont-Cassin; L'Ystoire De Li Normant, pag. 17.

[4] Carlone C. I regesti dei documenti della Certosa di Padula (1070-1400). Carlone Editore, Salerno 1996. Pagg. 3-4.

[5] Maggio del 1085 (Archivio Cavense, arca XIV n. 31).

[6] Trinchera F. Syllabus Graecarum Membranarum. Membrana LXV. (Ex originali membrana Archivi Cavensis, n° 16) Pagg. 82-83.

[7] Vi proponiamo di questa firma il testo greco, così come lo riporta il Trinchera: ελία υιος ότου του σάσσου μαρτυρ

[8] Di Meo A. Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli della mezzana età. Stamp. Orsiniana. Napoli 1795-1819. Tomo 9, Anno 1098; p. 53.

[9] Trinchera F. Syllabus Graecarum Membranarum. Membrana LXVII.(Ex originali membrana Archivi Cavensis, n° 10) Pag. 94. Anche questa donazione è annotata dal Di Meo: “Dall’Archivio della Cava (Arca 8, n. 78) si ha una Donazione in Pertosa fatta da Roberto Sig, di Cajano al Monistero di S. Maria di Pertosa. An. M. 6607. Ind. VII die sabbati, 19 Februarii. Tomo 9. Anno 1099; p. 72

[10] Nella versione originale in greco è la stessa firma della precedente: ελία υιος ότου του σάσσου μαρτυρ.

[11]Trinchera F.SyllabusGraecarumMembranarum. Membrana LIV.(Ex originali membrana Archivi Cavensis, n° 10)Pag. 71

[12] Trinchera F. Syllabus Graecarum Membranarum. Membrana CII. (Ex originali membrana Archivi Cavensis, n. 28); Pag. 134

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