Famiglia Beneventani nel Novecento

Famiglia Beneventani nel Novecento

Il prosieguo del racconto della Famiglia Beneventani continua, tutt’altro che banale e ricco sempre di sorprendenti personaggi.

La generazione che scavalla l’Ottocento per entrare, da protagonista, nel nuovo secolo, intercetta sostanzialmente i nipoti di Emilio Beneventani (non avendo noi notizia alcuna, come detto precedentemente, di eventuali discendenti dell’Onorevole Commendator Valerio).

Con enorme difficoltà e grande rischio di perdersi in mille rivoli, che poco aggiungerebbero alla saga di questa straordinaria famiglia, abbiamo provato (e poi rinunciato) a seguire il filone degli Albanese, dei Vestini, degli Avati e dei Rispoli, che abbiamo visto intercettare con legami matrimoniali (e discendenze) più generazioni della famiglia Beneventani.

E qui perdiamo anche il filo di un’eventuale discendenza del Commendator Benvenuto, ultimo figlio di Emilio (e Console di Persia a Napoli): probabilmente dal matrimonio con Anna non nascono figli.

Di sicuro Sofia (maritata o no) non ebbe figli.

E tuttavia la saga continua, con altrettanto prestigio che nelle generazioni precedenti, con i figli di Rocco e con i figli di Valerio

Una particolarità di questa generazione diventa quella della delocalizzazione, come vedremo, delle loro attività in tutta Italia.

Diventa anche la generazione, però, che paga un forte tributo, in termini di perdite di intelligenze e professionalità, oltre che di vite umane, alla Grande Guerra.

Cominciamo con i figli dell’Ingegnere Rocco Beneventani.

 

Beneventani Emilio

 

Il primo figlio si chiama Emilio, come l’illustre nonno: continua la tradizione di intitolare il primo nascituro al nonno paterno.

Nasce a Napoli il 23/01/1894 e sicuramente vi risiede fino al conseguimento della laurea in ingegneria, sulle orme dell’attività paterna.

Probabilmente è colto proprio negli studi universitari dal sopraggiungere della chiamata alle armi per la Prima Guerra Mondiale. Ed allora decide di iscriversi all’accademia militare per diventare ufficiale nel corpo di Fanteria; così come, del resto, aveva fatto il padre Rocco, seppur in tempo di pace.

Siamo in piena guerra (11 maggio 1916), quando Beneventani Emilio è promosso, da sottotenente, al grado di tenente ed è assegnato al Distretto di Napoli.[1]

Ed è ancora inquadrato come tale nel 1926: è ribadita l’anzianità (11 maggio 1916) e l’appartenenza al Distretto di Napoli.[2]

Proprio nel 1926 viene promosso a Capitano di fanteria (con anzianità di grado dal 31/12/1925), assegnato al Distretto di Napoli.[3]

Sempre nel Registro dei Ruoli d'anzianità degli ufficiali in congedo, ma del 1930, risulta ancora Capitano di fanteria di complemento (con anzianità di grado dal 31/12/1925); ma questa volta è assegnato al distretto di Milano.[4]

LA BONIFICA INTEGRALE NELLA TECNICA, NELLA PRATICA E NELLA LEGISLAZIONE Ing- Dott. Emilio Beneventani ULRICO HOEPLI EDITORE - MILANO, 1929

E tuttavia la vita militare per Emilio è sempre più lontana, sia dai pensieri che dall’attività professionale.

È un ingegnere stimato ed affermato, tra i maggiori esperti dell’epoca di ingegneria idraulica ed ingegneria elettrica, che dedica gran parte delle sue energie all’insegnamento ed alla ricerca.

È del 1929 la sua prima pubblicazione su un tema molto attuale in quel contesto ed anche molto caro al regime: le bonifiche dei territori paludosi.

Riscuote un tale successo (sia fra gli addetti ai lavori che fra gli studenti) che lo stesso Editore Hoepli penserà, tre anni dopo, nel 1932, di pubblicarne una seconda edizione, debitamente riveduta, corretta ed aggiornata. Si tratta di un “Manuale sintetico pienamente svolto ed illustrato ad uso degli ingegneri, tecnici e periti agrari, studenti, podestà, segretarii dei consorzii di bonifica, segretarii dei consorzii di irrigazione, proprietarii e conduttori agricoli, industriali, ecc.”, come lo stesso editore ci tiene a precisare addirittura in copertina.

Emilio Beneventani  La bonifica integrale nella tecnica, nella partica e nella legislazione Collana Manuali Hoepli Seconda Edizione Ulrico Hoepli Editore Libraio della Real Casa Milano 1932

Ma la sua versatilità, il suo ingegno, il suo impegno instancabile nella ricerca, lo porta ben presto a dedicarsi interamente e proficuamente ad un’altra tematica che comincia a diventare importante in quegli anni: la refrigerazione.

È un elemento fondamentale per la conservazione ed il trasporto dei cibi.

La ricerca (e l’applicazione pratica) ha un tale sviluppo e suscita un tale interesse, tanto nella comunità scientifica, quanto nel mondo imprenditoriale e commerciale, che lo stesso Ingegnere Emilio Beneventani arriva alla pubblicazione di numerosi volumi sull’argomento e a diverse riedizioni degli stessi.

Le pubblicazioni consistono fondamentalmente in “guide pratiche ed applicate ad uso degli agricoltori, tecnici agricoli e frigoristi, commercianti, esportatori

Beneventani Emilio  La pratica delle macchine frigorifere moderne. Impianti frigoriferi nelle colonie  S. Lattes Editore Torino 1 gennaio 1930 seconda edizione ampliata , ecc.”, come riportavano orgogliosamente le stesse intestazioni dei volumi.

E questo intenso e proficuo lavoro gli vale anche un prestigioso incarico presso la Direzione del Porto di Genova che lo fa trasferire temporaneamente in questa città.[5]

Dalla Gazzetta Ufficiale del regno d'Italia del 1933 abbiamo notizia che l’Ingegnere Emilio Beneventani (fu Rocco) è stato nominato Direttore Tecnico dei frigoriferi portuali di Genova.[6]

Dopo un primo lavoro intitolato “La pratica delle macchine frigorifere moderne. Impianti frigoriferi nelle colonie”, edito con la Lattes di Torino, che uscì già nel 1929, seguì un altro, sempre con la Lattes, del 1933,

Ing. Dott. Emilio Beneventani  Premessa ad una delle sue produzioni scientifiche sulle macchine frigorifere

di oltre 200 pagine, su la “Guida pratica della conservazione dei prodotti agricoli ed alimentari mediante il freddo artificiale ad uso degli agricoltori, tecnici agricoli e frigoristi, commercianti, esportatori, ecc.”; fino a “Le Macchine Frigorifere Moderne e loro applicazioni nell'industria e nell'economia domestica”, pubblicato a Torino nel 1942, a cura dell’ Editrice Libraria Italiana: un volume arricchito (come recita la stessa intestazione in copertina) da 89 incisioni, 16 tabelle dimostrative e numerosi esempi esplicativi.

Il coltivatore e giornale vinicolo italiano annotava, nella sua edizione del 1934 (pag. 467): “L'Ing. Beneventani, valente tecnico in materia, ha pubblicato or sono pochi anni, presso lo stesso Editore, un chiaro manuale riguardante le macchine frigorifere. Questo volumetto, che si occupa di parte così importante della Collana Manuali Hoepli”. Nel frattempo non tralascia il suo impegno primario, che è l’insegnamento. Dall’Annuario del Ministero dell'Educazione nazionale dell’anno 1939 risulta che Beneventani Emilio è Insegnante di Disegno professionale e scienze applicate presso la Regia Scuola di Avviamento Professionale a tipo Industriale “Giuseppe Parisi” di Torino, (Corso Firenze 1/bis) ed è anche è Insegnante di Tecnologia, Scienze applicate e Disegno professionale

Emilio Beneventani Le Macchine Frigorifere Moderne  e loro applicazioni nell'industria  e nell'economia domestica Editrice Libraria Italiana Torino 1942

presso la Regia Scuola di Avviamento Professionale a tipo Industriale “A. L. Muratori” di Torino (Corso Tortona 21)

Mantiene evidentemente anche l’iscrizione all’Albo degli Ingegneri e lo studio professionale. Nell’Annuario Generale d’Italia e dell’Impero Italiano del 1939 fra gli Ingegneri di Torino risulta censito Beneventani Emilio, in Corso Re Umberto 47.[7]

È tornato dunque in pianta stabile a Torino, dopo l’esperienza a Genova.

Ma non interrompe la ricerca, neanche negli anni di guerra; 

Emilio Beneventani Manuale di Elettrotecnica  industriale ed applicata “La Prora” Edizioni Milano 1944

anzi, rilancia in un altro settore, completamente nuovo ed anche questa volta attualissimo: l’elettricità, l’elettrotecnica applicata e la radiotecnica applicata.

Una prima pubblicazione sua sull’argomento è del 1944, dunque in piena guerra: è un “Manuale di Elettrotecnica industriale ed applicata”, per la Casa Editrice “La Prora” di Milano; contiene, come recita l’intestazione, 200 applicazioni pratiche ed esempi, 615 incisioni, XXX tabelle, oltre alle Norme dell’Associazione Elettrotecnica Italiana.

Ing. Emilio Beneventani  Elementi Pratici di Radiotecnica  Paravia Edizioni  Torino 1947

Segue, subito dopo la guerra, un’altra pubblicazione, dal titolo “Elementi pratici di Radiotecnica”, edito a Torino per la Casa Editrice Paravia, agli inizi del 1947, in una collana di divulgazione tecnica e scientifica: è un volume di 159 pagine, arricchito di 129 figure.

Ed infine, per la Casa Editrice di Andrea Viglongo, esce a Torino, nel 1950, “Il Disegno dell’Elettricista”. Come sottotitolo porta la dizione di: “Nozioni generali del disegno tecnico, segni grafici, disegno di schemi elettrici, disegno di apparecchiature elettriche, dati e tabelle originali”, che la dice tutta sull’elaborato contenuto di un volume di 200 pagine, 124 tavole, 12 figure e 6 tabelle

    

Un ricercatore molto eclettico, dunque, con interessi vari, in campi diversi (a volte anche molto lontani fra di loro), ma con risultati sempre brillanti ed apprezzati, tanto dal mondo scientifico quanto dal mondo produttivo (dagli stakeholders, diremmo oggi).

Uno scienziato a tutto tondo, che non fa ricerca pura, ma che riesce a mantenere ben saldi i piedi per terra, facendo ricerca applicata.[8]

Emilio Beneventani Il Disegno Dell'elettricista Andrea Viglongo Editore  Torino 1950

Non abbiamo altre notizie posteriori alla sua ultima pubblicazione del 1950. E non sappiamo se è coinvolto nel mondo accademico del Politecnico di Torino.

E neppure abbiamo notizie sulla sua vita privata e familiare (e sulla data ed il luogo della sua morte).

   

 

 

 

 

 

 

 

Diego Beneventani

 

L’altro figlio dell’Ingegner Rocco Beneventani, di cui abbiamo notizia, è l’Avvocato Diego Beneventani. Si ritorna dunque alla professione principe di questa famiglia: quella forense.

Nasce a Napoli l’08 /01/1897. Prima di incamminarsi sui sentieri della vita a lui destinati, sistema i conti con lo Stato e la vita militare (come ha fatto il padre, il fratello ed i cugini, come vedremo) iscrivendosi all’Accademia degli Allievi Ufficiali. Sottotenente di Fanteria con anzianità di grado dal 15/12/1918, assegnato al distretto di Lecco in una prima fase, [9]  è, poco dopo, Tenente di Fanteria di complemento con anzianità di grado dal 15/12/1918, assegnato al distretto di Milano,[10] (con decorrenza assegni 01/01/1919); e lo è ancora nel 1930.[11]

Dal 10 maggio 1932 è iscritto nella riserva per inidoneità.[12]

Diego Beneventani si laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Bologna, il 10/05/1920, con una Tesi orale dal titolo: “Ammissibilità di domande nuove in appello”.[13]

La professione, però, la svolge a Milano, dove risulta censito, già nel 1927, fra gli avvocati e procuratori presso la Corte di Appello ed il Tribunale di Milano, con studio in Via S. Nicolao, n° 5.[14] Nel 1929 lo studio è ubicato nella centralissima Via Montenapoleone, al n° 16.[15] Negli anni 1933, 1935 e 1936 risulta avere lo studio di avvocato ancora in Via Montenapoleone, ma al n° 38.[16] Invece nel 1939 è ubicato in Via Cardinal Federico n° 3.[17]

Il 26 ottobre del 1933 Beneventani Diego, fu Rocco, Avvocato a Milano, viene insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Corona d'Italia.[18]

Nello stesso periodo risulta coinvolto in un atto di donazione da parte della Società anonima Dalmine di un'antenna in ferro portabandiera.[19]

Risulta ancora in vita nel 1964, quando partecipa ad un convegno a Milano.[20]

I figli di Valerio Beneventani (junior) e Maria Clotilde Iezzi[21] sono 6: tutti per lo più impegnati professionalmente a Napoli ed in Campania.

Tratteremo a parte Vladimiro e Carlo, i due fratelli caduti al fronte, che più di altri rappresentano l’emblema del rigore etico e della grandezza di questa famiglia.

 

Beneventani Benedetto

 

Benedetto è il terzo figlio di Valerio e Clotilde. Nasce a Napoli il 22 agosto 1900.

Come è tradizione di famiglia, dopo gli studi superiori si iscrive all’Università di Napoli, alla facoltà di Giurisprudenza; e lì vi consegue la Laurea il 19 febbraio 1924.[22] Purtroppo, nonostante non abbia tantissima voglia di piegarsi sui libri, è il primo in famiglia a raggiungere questo traguardo, per essere stati fermati prima, dalla guerra, i due fratelli maggiori: delle raccomandazioni di Vladimiro e Carlo e delle preoccupazioni dei genitori è intrisa la raccolta di lettere dal fronte.[23]

E sulla scia dei fratelli maggiori (e con il loro amorevole consiglio) decide di anticipare l’imminente chiamata alle armi per la prima guerra mondiale, iscrivendosi pure lui all’Accademia per gli Allievi Ufficiali che, nonostante momenti di sconforto e di trepidazione (soprattutto dopo i nefasti annunci dal fronte, uno dopo l’altro, della morte dei due fratelli), comunque conclude con profitto, raggiungendo il risultato di diventare prima Sottotenente e poi, dal 28/09/1920, Tenente di Fanteria di complemento, assegnato al distretto di Napoli, ove risiede.[24]

La guerra è ormai lontana (con le sue paure ed i suoi lutti) e Benedetto Beneventani si dedica alla professione di avvocato: nel 1927 è censito fra gli Avvocati e Procuratori presso la Corte di Appello ed il Tribunale di Napoli, con studio in Via dei Mille, al n° 16. [25] Nel 1929 vi è sempre, fra gli Avvocati e Procuratori presso la Corte di Appello ed il Tribunale di Napoli, Beneventani Benedetto, ma ora ha lo studio in Via Vasto a Chiaia, n° 2. E lo stesso risulta nel 1933.[26]

Nel 1939 invece ha spostato il suo studio in Via Medina 61.[27]

Dopodiché si perdono le tracce.  Abbiamo solo la notizia, sempre per il 1939, di un Beneventani Benedetto coinvolto in una serie di protesti cambiari, ma a Roma e, francamente, non siamo in grado di capire se è lo stesso (e forse segretamente ci auguriamo che non si tratti di un rampollo di questa illustre famiglia).[28]

 

Beneventani Mario

 

Ritaglio di giornale in cui si ricordano alcuni fatti accaduti a Napoli dopo il 1921,  con annotazioni di pugno di Benedetto Croce

Non sappiamo molto di questo che doveva essere il quarto figlio maschio della coppia Valerio Beneventani e Maria Clotilde Iezzi, se non i riferimenti alla sua figura di fanciullo, che compare nella corrispondenza dei fratelli maggiori dal fronte: entrambi riferiscono di simpaticissime cartoline che il ragazzino scrive loro.

Nato dopo il 1900, non viene coinvolto nel conflitto bellico (così funesto per la sua famiglia!) e non abbraccia la carriera militare.

Frequenta con profitto gli studi e si laurea in giurisprudenza. Nel 1939 è censito fra i Procuratori di Napoli, con studio ubicato in Via Francesco Girardi 78.[29]

Abbiamo però notizia di un suo coinvolgimento professionale in un processo che ebbe molta risonanza sulla stampa dell’epoca.

Nella notte del 12 ottobre 1926 una squadraccia fascista, capitanata da tale Domenico Mancuso, fece irruzione nella casa di Benedetto Croce, in Via Trinità Maggiore 12, e ne devastò la biblioteca, fracassando mobili e suppellettili.

L’assalto rimase impunito (come tanti altri fatti pure accaduti a Napoli il quel periodo)[30] per tutto il ventennio. Alla fine del regime le indagini furono riprese da un solerte Commissario di P. S., Mascia, che riuscì ad identificare ed arrestare tutti i partecipanti all’assalto.[31]  Nel dibattimento processuale che ne seguì è annotato quale difensore di uno degli imputati (Luigi Di Stasio) l’avvocato Mario Beneventani.

E tuttavia troppo tempo era passato, per cui il processo si concluse 13 ottobre 1945 con l’assoluzione di tutti gli imputati, per insufficienza di prove.

 

Beneventani Massimo

 

Anche di Massimo abbiamo gli affettuosi riferimenti e le amorevoli raccomandazioni dei fratelli maggiori dal fronte. Altre notizie non abbiamo se non che diventa insegnante, intorno al 1931/32, laureandosi in materie umanistiche.

Consegue l’abilitazione all’insegnamento di Lingua e letteratura italiana e latina, storia e geografia in qualunque Scuola media di primo grado nel 1933, dopo aver partecipato al Concorso ed esame di abilitazione banditi con decreto Ministeriale 23 dicembre 1932-XI. Ne risultano ammessi, in quel concorso, 476, fra cui il Dott. Massimo Beneventani, con 59,26  punti su 75. [32]

Nel 1934 il Dott. Beneventani Massimo insegna (in qualità di supplente) lingua italiana e latina, storia, geografia e cultura fascista al Corso Inferiore del Regio Istituto Tecnico Nautico “Nino Bixio” di Sorrento. E ripeterà il corso, sempre come supplente, fino al 1937.[33]

Dal 1939 il Dott. Massimo Beneventani insegna (questa volta è ordinario) lingua e lettere latine e storia, al Regio Istituto Magistrale “Eleonora Pimentel Fonseca” di Napoli, in Via Trinità Maggiore 2; lo stesso corso terrà nel 1940 e nel 1941.[34]

Nel 1939 verga anche uno scritto in occasione del “bimillenario di Augusto”, attualmente conservato all’Istituto Magistrale “P. E. Imbriani” di Avellino.

 

Beneventani Emilia

 

Professore Ingegnere Luigi D’Amelio Professore Ordinario dell’Università di Napoli

Emilia è l’unica figlia femmina di Valerio e Clotilde e come tale vezzeggiata e coccolata da genitori, fratelli e dalla zia Sofia, che le sta amorevolmente vicina.

Nasce nel 1903 e cresce in questo ambiente ovattato, dedicandosi agli studi umanistici ed alla musica, finché, superati i lutti della guerra, sposa, intorno al 1923 Luigi D'Amelio, rampollo di un’altra prestigiosa famiglia di Napoli, che pure dovette lasciare un pesantissimo tributo di morte alla causa della guerra.

D'Amelio Luigi nasce a Napoli il 1° giugno 1893 da Raffaele e da Emma Flores.[35]

Conseguita la maturità classica, nel 1911 si iscrive alla facoltà di ingegneria civile della città natale. Richiamato alle armi per partecipare alla guerra 1915-18 (nella quale ottiene una croce al merito e perde due fratelli), è costretto ad interrompere gli studi. Alla guerra non partecipa, ovviamente, come soldato semplice, ma da allievo ufficiale, dal quale residuerà un vitalizio come ufficiale di complemento.[36]

Ripresi gli studi, consegue la laurea nel 1919. Svolge poi, per breve periodo, attività di assistente alla cattedra di costruzioni in legno, ferro e cemento armato dell'università di Napoli; successivamente, su invito del prof. E. Brunelli, passa a quella di macchine termiche e idrauliche, della quale diviene professore incaricato nel 1931 (in seguito al trasferimento del Brunelli al Politecnico di Torino) e ordinario nel 1936; da questo stesso anno assume anche la direzione del corrispondente istituto, dapprima denominato di "macchine termiche, idrauliche e agricole" e poi, più estensivamente, di "macchine". Tiene ininterrottamente la cattedra e la direzione dell'istituto fino al 1963, quando viene posto fuori ruolo per raggiunti limiti di età.

Muore a Napoli il 1° dicembre 1967.[37]

Tra le più importanti cariche da lui ricoperte si ricordano: Preside della Facoltà di Ingegneria dell'università di Napoli dal 1946 al '49, membro ordinario dell'Accademia Pontaniana di Napoli, vicepresidente nazionale dell'Associazione termotecnica italiana (A.T.I.), amministratore delegato dell'Ente autonomo Volturno (E.A.V.) dal 1948 al '60.[38]

L'attività scientifica del Professore Ingegnere Luigi D’Amelio si indirizza prevalentemente verso la ricerca e la realizzazione di congegni per migliorare il rendimento delle macchine e degli impianti per l'utilizzazione delle energie rinnovabili (solare, eolica, geotermale). Agli inizi degli anni Trenta si distingue per gli studi sulle sorgenti di calore alle basse temperature (geotermiche e solari), che ritiene debbano essere utilizzate in piccole unità destinate a piccole utenze.

Nel campo dell'utilizzazione delle energie rinnovabili è da ricordare la sua opera “L’Impiego di vapori ad alto peso molecolare in piccole turbine e utilizzazione del calore solare per energia motrice” (Napoli 1935), che vince il primo premio di L. 10.000 nel concorso bandito dal governatorato italiano in Libia e dall'Associazione nazionale controllo della combustione (A.N.C.C.).[39]

Prof. Ing. Luigi D’Amelio Primo Simposio mondiale sull’energia solare Tucson (Arizona) 1955

Nel 1955 partecipa al primo Simposio mondiale sull’energia solare, a Tucson (Arizona). Alla Conferenza si presenta con la relazione “A steam engine using a mixture of vapours from non miscible fluidsas solar engine with flat plate collectors”, suscitando vasto interesse sui suoi studi, ormai più che ventennali.[40]

Nel frattempo pubblica un’altra monumentale opera, in due volumi, che diventano dispense fondamentali per gli studi di ingegneria in campo energetico applicato, non solo per l’Università di Napoli.[41]

Dal matrimonio fra il Professor Luigi D'Amelio ed Emilia Beneventani nascono 5 figli, a partire da Camillo (a cui è diretta quella tenera e toccante dedica dei nonni Valerio e Clotilde Beneventani, che abbiamo visto precedentemente), che porta il nome del primo fratello di Luigi, morto in guerra,[42] passando per Carlo[43] e Mario, fino ad Emma.

 

Concludiamo questa saga, infine, provando a tratteggiare (con tutta la delicatezza e la riservatezza che si deve in questi casi) due belle figure di questa famiglia, rese ancor più straordinarie dalla tragicità della morte prematura in guerra.

Nel rievocarle ci lasciamo guidare dalle emozioni che evoca il volume a loro dedicato dai genitori affranti dal dolore (come tutti i padri e le madri che hanno la sventura di sopravvivere ai propri figli!), ma determinati a sottrare all’oblio una grandezza d’animo e d’intelletto di cui i figli erano dotati e che non poterono esprimere nella loro compiutezza.

Particolare della lapide dedicata ai caduti della Grande Guerra  in cui campeggiano i nomi due fratelli  Vladimiro e Carlo Beneventani Fanno loro compagnia i fratelli Camillo e Mario D’Amelio Il rettore dell'Università degli Studi di Napoli, Adolfo Omodeo, fu promotore del recupero della memoria dei Caduti nel primo conflitto mondiale, dopo la distruzione dei monumenti, a questi dedicati, durante l'occupazione tedesca. La lastra fu posta, infatti, nel 1944 alla riapertura dell'edificio centrale dopo l'incendio del 1943.

Il volume (che siamo riusciti fortunosamente a recuperare) riporta le lettere (dall’Accademia militare prima e dal fronte poi) dei due fratelli, arricchita da alcune fotografie, che gli stessi avevano inviato alla famiglia ed è curato dal Professore Enrico Sannia,[44] dell’Università di Napoli, amico di famiglia e, dunque, conoscitore dei due ragazzi: Wladimiro e Carlo Beneventani.

Queste lettere – dice il Sannia nella sua delicata ed allo stesso tempo coinvolgente prefazione al volume – non si presentano come saggio di letteratura: non furono scritte con questa intenzione… darle alla luce è parso né più né meno che un dovere: nel loro insieme costituiscono il ritratto di due giovani che se avessero potuto esplicare tutto quanto lo stame della loro esistenza, sarebbero certamente usciti dall’oscurità… Disinteresse e sacrificio fu comune ai due fratelli Beneventani – e continua – chiunque li abbia conosciuti immaginava due vite nettamente distinte; tanto erano diversi per indole, per propositi, per metodo di vita. Che avrebbero avuto in comune la rettitudine, era un sottinteso… Il ravvicinamento, il riferimento ad uno stampo comune, costituisce una di quelle rivelazioni che solo la morte è capace di produrre.

  

Beneventani Vladimiro

 

Beneventani Vladimiro

Vladimiro è il primogenito di Valerio Beneventani e Maria Clotilde Iezzi. Cresciuto in un ambiente colto e benestante, si dedica anima e corpo, fin da fanciullo, agli studi, in cui eccelle, in particolar modo nelle materie classiche, umanistiche. Conseguita la licenza liceale, si iscrive alla facoltà di matematica, con il proposito di completare le sue conoscenze intorno alla filosofia: la sua vera passione intellettuale.

La capacità di eloquio e di scrittura lo porta a collaborare fin da subito con alcune riviste, che ne pubblicano brevi riflessioni filosofiche.[45]

Ma sul suo destino incombe la guerra e Wladimiro[46] ne anticipa gli eventi: si iscrive alla scuola militare per Allievi Ufficiali di Modena, che frequenta con grande impegno ed abnegazione, nonostante una imprevista infezione all’orecchio, che lo costringe per un certo periodo a terapie e convalescenza, a Bologna.[47] Nel settembre 1917 diventa, finalmente Sottotenente di fanteria di complemento, viene assegnato ai bersaglieri di Livorno.[48]

Intanto continua ad iscriversi ancora all’Università di Napoli, nella speranza di poter dare qualche esame, in occasioni di licenze, e nella speranza di poter dare da subito un avvenire al suo legame affettivo con Wanda (Assunta): la fidanzata con cui intrattiene una frequentissima, premurosissima e delicatissima corrispondenza.[49]

Wladimiro fu un carattere severo e triste – annuncia il Sannia nella sua prefazione – sarebbe stato sempre un infelice: lo riconosceva lui stesso[50]… era un intellettuale… e di più un solitario, uno schifiltoso, non facilone e socievole come tanti giovani… Eppure tutto, questo giovane ventenne, dominò con una sicurezza di uomo consumato: era uno di quegli esseri che ti danno l’impressione di aver già fatto il tirocinio della vita in un’altra sfera, prima di comparire in questa che abitiamo. Poche nature ho conosciuto così indifferenti alla lode ed al biasimo: una indifferenza così tranquilla che molti uomini adulti avrebbero potuto imparare. …Natura rettilinea, intensa e raccolta, d’una austerità mazziniana, quasi vestita a bruno fin dalla nascita, sorridente solo per ironia, ben di rado per gaiezza.

Pensate a dare un avvenire ai fratelli – scriveva il 5 agosto 1917 ai genitori, dalla scuola militare di Modena – giacché a me provvederò da solo, con un’energia che piegherà un mondo… – e chiosava – “Ad quamvis vim perferendam” ed è questo il mio moto, motto di uno dei più grandi latini. [51]

Soldato per necessità (ma con fede e convinzione); pensatore per vocazione; anche sotto le pallottole nemiche non riesce a smettere di studiare: si fa mandare libri di letteratura e di poesie dal padre; si fa trascrivere l’Epitaffio di Pericle dalla fidanzata. Proprio dalle ultime lettere dal fronte comincia a trasparire una sua personale elaborazione esistenziale, una visione cosmica originale (pur affondando le sue radici nella tradizione filosofica occidentale e pur ancora legata ad alcune certezze della visione cristiana), intrisa di un umanesimo originalissimo, che lascia intravedere influssi dalle sue letture di autori orientali. In una lettera alla mamma, interrogandosi sulla funzione delle religioni afferma: …Le religioni sono una creazione di somma estetica dovute alla nostra coscienza armonica; senza le religioni la vita non avrebbe un aspetto artistico, perfetto: ecco dunque la loro origine, esse non sussistono fuori dalla nostra coscienza. Io perciò ammiro sempre più la coscienza, la coscienza sola. Gran parte, meglio tre quarti della creazione è, perché è la coscienza…

Queste le bozze di pensiero che un sottotenente dei bersaglieri, poco più che ventenne, sprigiona fra i monti del Carso, ancora troppo grezze per apparire un articolato pensiero filosofico (magari scambiate per crisi mistiche da qualche commilitone, o per crisi depressive dalla madre apprensiva).

Purtroppo la vocazione al martirio, che pure comincia ad albeggiare nel suo pensiero (specialmente negli ultimi mesi al fronte) ha la meglio sul suo destino.

Una pallottola austriaca lo uccide il 17 giugno 1918, a Costalunga, in regione Valbella. Il suo attendente, Giovanni Zoppi, ferito nella stessa battaglia, così ne descrive la fine alla mamma affranta: …posso dirle solamente che il caro suo figlio morì con un sorriso che mai più si vedrà né si avrebbe creduto una cosa simile perché io non gli so dire se era il sorriso di un santo o di un martire…

L’Italia ha perduto con Wladimiro Beneventani un grande carattere morale, – conclude Sannia –  che sarebbe certamente riuscito prezioso alla Patria, non meno di quello che riuscì sulle ardue cime di Valbella. Forse nell’insegnamento, forse nella vita pubblica: chi può dirlo? Ma dovunque sarebbe stato un apostolo.

La sua vita fu troppo breve, ma in quei quattro anni di guerra c’è già tutta quanta la nobiltà di quella che sarebbe stata la sua vita, se fosse rimasto superstite, come nel preludio di un’opera è virtualmente riassunta tutta l’opera. 

 

Beneventani Carlo

 

Beneventani Carlo

Beneventani Carlo è il secondogenito di Valerio e Clotilde Beneventani: nasce a Napoli il 05/03/1899.

Carattere estroverso, geniale, eclettico: fin da piccolo si dimostra completamente diverso dal fratello Wladimiro: non opposto, ma complementare, per la gioia dell’intera famiglia. Carlo era la gioia di vivere – ne tratteggia il personaggio il Sannia, non nascondendo la sua personale simpatia ed ammirazione – era la giovinezza sana ed equilibrata; e come un’acqua di cascata s’insinuava dappertutto, animava, rallietava, promuoveva, si rendeva utile, dava consigli, preveniva le domande, si moltiplicava, e non aspettava neanche il ringraziamento che già s’era volto a qualche altra impresa. La sfera delle sue amicizie si dilatava, si dilatava di continuo, perché stringeva sempre nuove relazioni, senza per questo coltivar meno le antiche. Materiato di senso pratico, di buon senso, forte, agile, duttile, or leoncello ora folletto, capiva la vita ed alla vita si adattava, ad ogni nuova esigenza metteva fuori un’abilità nuova, dal danno spremeva il vantaggio… entrato nel liceo appena tredicenne (per emulare e seguire il fratello Wladimiro, che venerava ancor più della figura paterna)[52] fu scolaro vivace, allegro, ma diligentissimo… fuori dal Liceo ed esaurito il compito scolastico, diventava un’altra persona, o meglio non so quante persone. Dipingeva, organizzava giochi con ragazzi più piccoli, costruiva il presepe, coltivava già qualche amoretto, scriveva dei versi, abbozzava commediole, preparava qualche tiro alla zia Silvia, dava lezioni a scolaretti del ginnasio e faceva anche l’uomo d’affari di casa Beneventani.[53]

Lasciamoci guidare ancora dalla prefazione del Sannia per raccontare le fasi salienti della breve vita di questo rampollo di casa Beneventani: “Nei figli di famiglia che hanno una tradizione, si riscontra quasi sempre una certa mollezza, un far a fidanza sulla prevenzione favorevole che il solo cognome vale a suscitare… in Carlo nulla di tutto questo…nella milizia della vita volle entrare presto, vi si arruolò volontario prima che scoccasse la sua ora: appena divenuto studente universitario, si impiegò nelle ferrovie, tutto contento di lavorare proficuamente. Voleva essere un piccolo self made man e, lungi dal mettere in questo una intenzione avida verso la famiglia… concepì immediatamente un atto di mecenatismo: offrire alla sorella un viaggio a Roma a proprie spese… (Amante dell’arte) si propose, nello stesso tempo, di iniziare lo studio regolare della pittura. Schizzò un buon numero di cartoline illustrate, le vendette per pagarsi delle lezioni private di disegno.”

E viene la guerra, a storcere le attività e le aspirazioni di questo ragazzo.

La guerra era già scoppiata ed egli attendeva sereno la sua ora – ricorda ancora il Sannia nella sua prefazione – e venne l’appello anche per lui. Il suo pensiero corse al papà che rimaneva senza il suo factotum e doveva ritornare in servizio attivo, dopo che egli aveva avuto la soddisfazione di metterlo a riposo, restituendolo alla sua naturale vocazione: gli studii. Lo vide solo fra gli scaffali in quello studio dove tante volte s’era mescolato alle discussioni dei figli, commentando insieme Cuoco, Gioberti, Balbo, Taine, Carlyle… pensò a Wladimiro lontano… gli altri fratelli erano ancora piccoli ed immaturi a prendere il loro posto…ebbe coscienza della propria importanza per la sua famiglia, si sentì insostituibile…

E tuttavia non si sottrae al suo dovere; anzi si iscrive pure lui (emulando ancora una volta il fratello, ma anche seguendo un po’ una moda dei figli di famiglia del tempo chiamati a servire la patria) all’Accademia per gli allievi ufficiali, ma nel Genio Militare (che più si addice alla sua capacità inventiva ed al suo spirito eclettico).[54] Frequenta l’Accademia, fra la Toscana (Scarperia, Borgo San Lorenzo) e Torino, con grande spirito di abnegazione e di servizio alla patria,[55] sulla scia ed in onore di cotanti suoi antenati,[56] diventando Sottotenente del Genio Militare, assegnato al 2° Battaglione; e tuttavia vive questa nuova dimensione con tanta allegria e la consueta vitalità, lasciando anche qualche cuore infranto.[57]

Poi arriva la chiamata al fronte, che vive con una serenità ed una lucidità che non ti aspetti in un diciottenne. Il 24 ottobre 1918 scriveva al padre: “…vedrete fra breve i momenti che attraversiamo saturi di grandi cose, fatalmente fortunosi per la nostra nazione. Qualunque siano i sentimenti che regolano lo spirito individuale, dovere è di tutti essere al proprio posto, avere serenità, sperare nell’insperabile e non pensare che al raggiungimento dell’universale scopo che anima terribilmente uomini e nazioni… Fede, papà mio, e serenità: per me e per voi indispensabile… Leggo il Fedone di Platone e vi apprendo per bocca di Socrate che gli stati varii di essere e delle cose in genere si generano dai contrasti; ad esempio: il bello dal brutto, e questo dal primo, il piacere dal dolore e viceversa, la vita dalla morte e al contrario… e così sarà anche per noi, papà mio: abbiamo attraversato lo stadio cattivo, ci troviamo nell’intermezzo, verrà quello ottimo. Stà sicuro… Ti raccomando tanto la mamma… le dirai che nella realtà presente che tempra e fa forti e abitua alle lotte, sogno ancora quell’avvenire, fatto tutto di felicità e di riposo, per te e per Lei…”. ed allo stesso padre, in una brevissima del giorno dopo: “Ti son grato dell’educazione datami, dei sentimenti istillatimi nel cuore e nel pensiero e che nelle circostanze gravi e liete mi fanno essere uomo e italiano”. Questo scriveva Carlo Beneventani ai suoi due giorni prima di lasciare la vita sul Grappa.

Ma su Carlo – ci rammenta ancora il Sannia nella sua prefazione – non meno delle tradizioni familiari, operò l’esempio di Wladimiro. Era stato sempre il suo maestro: morto, fu più che mai presente al suo cuore… volle recarsi come in pellegrinaggio alla tomba del fratello. E dopo essersi inerpicato affannosamente su dirupi per raggiungere quel rude e solingo cimitero di guerra, stette pochi minuti a contemplare quella zolla (la breve licenza non gli consentiva di fermarsi) e sulla via del ritorno, l’emozione potente mise le ali e gli dettò questa poesia:[58]

I.

Addio fratello! La sanguinosa roccia

di tra la nuvolaglia grigia, balza,

e mostra a chi l’affissa, un cimitero!

di croci nere, poche!...

Ed una croce

è sola e grande

e guarda la montagna,

il rozzo legno è forte:

è la tua croce!

II.

L’inchiodaron così, perché su roccia

di sparvieri e di forti, dominante,

a chi l’affigga non rinnovo il pianto

ma fortissime cose!...

Una promessa

segretamente

nel granito chiusa

scolpitavi nel sangue,

col tuo sangue!

III.

Povero amico! Nella fine bella

di mille vite, tu sognavi il sogno

di fanciullezza, ove t’apparve d’oro

la vetta in alto, fra le nubi spersa;

le nuvole d’azzurro!

E non miravi l’ascesa forte, ed il mortale affanno;

t’apparve il sacrificio

e lo bramasti,

miravi un’altra vita

e fosti eroe!

V.

Addio fratello! No, ch’io non ho pianto;

tu vivi sempre come la tua roccia;

io miro il sole; vedo che più brilla

ov’ha il suo nido l’aquila d’azzurro

e mostra a chi l’affissa un camposanto:

di croci nere, poche

ed una croce

è sola e grande

e sfida i nembi d’oro;

il rozzo legno è forte:

è la tua croce!

 

Era il 7 ottobre 1918: Carlo non aveva ancora vent’anni e non li avrebbe mai compiuti, perché giusto 20 giorni dopo, “negli ultimi giorni della nostra guerra – come riferiscono i necrologi dell’epoca – sull’albeggiare della nostra vittoria”, cadde ucciso da una granata e lasciò su quei monti non solo la vita ma la genialità e la grandezza di sentimenti che pochi giovani, alla sua età, possiedono.

Nella bella e intensa prefazione alla raccolta di lettere che i genitori vollero dedicare ai due figlioli persi in guerra, Sannia riferisce un gustoso siparietto familiare fra i due fratelli: “La mia aspirazione – affermava Wladimiro – è di potermi dedicare tutto alla speculazione”. “E la mia – replicava Carlo – è quella di potere un giorno andare in automobile. E ci andrò, e tu starai sempre fra le nuvole, e se vorrai fare un po’ di strada, dovrai chiedere un passaggio a me, ed io te l’accorderò con molto piacere, onorato anzi di portare a spasso il filosofo”.

Né l’uno, né l’altro!

Una guerra assurda, un destino beffardo se li prese entrambi, lasciando più poveri non solo la famiglia Beneventani, ma tutti noi.

 

 

 

 

[1] Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali dell'esercito italiano e nel personale dell'amministrazione militare 1917; pag. 4693.

[2] Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli ufficiali e sottufficiali del Regio esercito, 1926, pag.  155: I seguenti Tenenti, non avendo superato l’età di anni 40 al 31 dicembre 1925, sono iscritti d’ufficio con il loro grado ed anzianità nel ruolo di ufficiali di complemento dell’arma stessa…Beneventani Emilio.

[3] Registro dei Ruoli d'anzianità pel 1927 degli ufficiali in congedo, pag. 178: Beneventani Emilio, di Rocco, nato il 23/01/1894, residente a Napoli.

[4] Registro dei Ruoli d'anzianità pel 1930 degli ufficiali in congedo.

[5] Nell’Annuario Generale del Regno d’Italia del 1935 fra gli Ingegneri di Genova risulta censito Beneventani Emilio, in Via Quarnaro.

[6] Gazzetta Ufficiale del regno d'Italia. Roma - mercoledì, 20 settembre 1933 -ANNO XI

[7] Per la verità, troviamo segnato Amilio Beneventani, ma crediamo si tratti di un errore di stampa.

[8] Chissà se è in contatto con Luigi D’Amelio, il marito della cugina Emilia, che proprio di macchine termiche, idrauliche e agricole (e di energia a vari sviluppi) si occupa nel suo Dipartimento di Ingegneria all’Università di Napoli?!

[9] Dal Registro dei Ruoli d'anzianità pel 1919 degli ufficiali in congedo, p. 584.

[10] Tale risulta nel Registro dei Ruoli d'anzianità pel 1930 degli ufficiali in congedo.

[11] Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali dell'esercito italiano e nel personale dell'amministrazione militare.

[12] Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli ufficiali e sottufficiali del R. esercito italiano e nel personale dell'amministrazione militare 1932: i seguenti tenenti sono iscritti nella riserva per inidoneità dalla data a fianco di ognuno indicata, col proprio grado e con la propria anzianità:

con anzianità 15 dicembre 1918 Beneventani Diego di Rocco, classe 1897, Distretto Milano I, dal 10 maggio 1932.

[13] Archivio storico dell'Università di Bologna. Fascicolo N.: 5078: Diego Beneventani, nato a Napoli (Napoli, Italia);

Facoltà/Corso: Giurisprudenza: Data di Laurea: 10/05/1920; Titolo tesi: Ammissibilità di domande nuove in appello.

Tesi orale.

[14] Annuario del Ministero della giustizia e degli affari di culto 1927.

[15] Annuario del Ministero della giustizia e degli affari di culto 1929.

[16] Annuario Generale del Regno d’Italia del 1933, 1935 e 1936

[17] Annuario Generale del Regno d’Italia del 1939.

[18]  - Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia. 22-2-1934 (XII), n. 44, p. 947; Con decreto del 26 ottobre 1933, Sua Maestà il Re, sulla proposta del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, e del Ministro Segretario di Stato per la grazia e giustizia, ha nominato… Cavaliere nell’Ordine della Corona d’Italia… Beneventani Diego fu Rocco, avvocato in Milano. Bollettino ufficiale del Ministero di grazia e giustizia. Anno 1933

[19] Donazioni ed eredità: donazione da parte della Società anonima Dalmine di un'antenna in ferro portabandiera (1928-1932): …delibera di approvazione di resistenza in causa con patrocinio dell'avv. Diego Beneventani di Milano…

[20] Beneventani Diego. Resoconto della seduta pomeridiana del 29 aprile 1964…

 

[21] Non abbiamo molte notizie della Famiglia Iezzi a Napoli e in provincia: solo alcuni riferimenti a personaggi di origine marchigiana-abruzzese trapiantati a Napoli come artigiani (orafi) ed ufficiali dell’esercito, nell’ultima fase del Regno Borbonico; e tuttavia non abbiamo elementi per ricollegarli alla moglie del Cavaliere avvocato Valerio Beneventani (Junior, da non confondere con il più noto zio onorevole).

[22] La matricola è conservata presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli con il nr. 13133.

[23] In una lettera del 2 agosto 1917, indirizzata alla mamma, Vladimiro scriveva: “…Raccomando ispecie a Benedetto i suoi studi e la sua licenza, cercasse di avanzarsi molto nei classici latini e greci, e nella letteratura, come pure, se non l’ha già fatto, iniziasse a studiare la storia, e la storia naturale…”; e in un’altra del giorno dopo. “…Raccomanda, prega, scongiura Benedetto a nome mio di studiare, e molto…”; e, in un’altra al padre del 14 agosto 1917 (evidentemente in quell’estate Benedetto diede segni sconfortanti di insofferenza agli studi!), scrive: “…Apprendo con piacere degli studi di Benedetto…si prenda a tutti i costi questa scartoffia, per me sempre senza valore morale, ma alla quale il formalismo banale degli uomini crede ancora…”; ed ancora, alla madre il 1 febbraio 1918; “…a babbo raccomando Benedetto per la licenza, giacché egli non tarderà ad andare alle armi e quella gli sarà molto utile, e poi rimarrebbe uno spostato qualsiasi…”; e Carlo al padre, in una lettera del 18 maggio 1918 (non preveggendo le future sventure), parlando di una visita premurosa della madre al fratello, dice: “…m’auguro che la sua andata possa rianimare lo sperduto Benedetto che di un’epoca eroi-comica mi fa una tragedia…”.

[24] Registro dei Ruoli d'anzianità pel 1930 degli ufficiali in congedo.

[25] Annuario del Ministero della giustizia e degli affari di culto 1927.

[26] Annuario del Ministero della giustizia e degli affari di culto 1929 e 1933.

[27] Annuario generale d'Italia e dell'Impero italiano (1939).

[28] Vi sono almeno tre protesti: un primo protesto, di 500 lire, è elevato, nel febbraio 1939, a Beneventani Benedetto in Via Colonna 18; un secondo protesto, di 1380 lire (ma risulta pagato), è elevato, nel marzo 1939, a Beneventani Benedetto in Piazza Campo Marzio n° 3; un terzo protesto, ancora di 500 lire, è elevato, nell’agosto 1939, a Beneventani Benedetto in Via Paolo Mercuri 8; Bollettino dei protesti cambiari, dei fallimenti e del movimento delle ditte; organo del Consiglio Provinciale delle Corporazioni di Roma.

[29] Annuario generale d'Italia e dell'Impero italiano (1939).

[30] L’assalto a “Le Battaglie del Mezzogiorno”, del dicembre 1922 e quelli alla redazione del Mattino e del Giorno, del 21 gennaio 1924; l’assalto in casa ed il ferimento di Carlo Epifani, direttore de “La Riscossa”; ed ancora quello a Piazza Mercato, del Primo Maggio 1921, a seminare terrore e morte al comizio dell’onorevole Francesco Misiano.

[31] Lo stesso gruppo aveva assalito e devastato, qualche anno più tardi, la casa dell’Onorevole Arturo Labriola.

[32] Elenco delle persone che nell'anno scolastico 1932-33 hanno conseguito, nei modi previsti dal regolamento 9 dicembre 1926 (n. 2480), l'abilitazione all'esercizio professionale dell'insegnamento medio. 5-11-1935 (XIII) Gazzetta Ufficiale Del Regno d’Italia - N. 207; Ministero dell'Educazione Nazionale; p. 4390.

[33] Annuario del Ministero dell'Educazione nazionale; anni 1934/1935/1936/1937.

[34] È un istituto di 1495 alunni: 1133 femmine e 372 maschi. Annuario del Ministero dell'Educazione nazionale; anni 1939/1940/1941.

[35] Raffaele D'Amelio (n. Napoli 25/03/1866 m. 29/01/1929) sposa Emma di Ferdinando Flores (n. Napoli 4/12/1861- m. Napoli 13/02/1920) il 12/08/1889. Dal matrimonio nascono oltre a Camillo e Mario, morti in guerra, Luigi, Beatrice e Giuseppina.

[36] Nell’Annuario ufficiale delle forze armate del Regno d'Italia, Anno 1938, vol. 1, risulta Capitano di artiglieria, con anzianità 12 febbraio 1928.

[37] Umberto D'Aquino - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986).

[38] Durante la gestione del D’Amelio, l'ente, società elettrica municipale, costruisce e mette in funzione quasi tutte le sue centrali idroelettriche. Ibidem

[39] Si illustra dettagliatamente, fra l’altro, un tipo di motore ad energia solare funzionante con i vapori di un fluido ad alto peso molecolare, il cloruro di etile. Segue un altro lavoro del 1933 dal titolo di per sé eloquente “Lo sfruttamento delle energie naturali in Libia per forza motrice: l'impiego di vapori ad alto peso molecolare in piccole turbine e l'utilizzazione del calore solare per energia motrice”. Sempre sull'utilizzazione del cloruro di etile è basato il progetto sullo sfruttamento del calore contenuto nelle acque termali, da lui esposto in una memoria presentata nel 1939 alla Regia Accademia delle scienze di Torino (Le acque termali come fonte di energia in I combustibili nazionali e il loro impiego, Torino 1939, pp. 293-307). Questo progetto, peraltro, è stato già realizzato dall’Ing. D’Amelio presso il laboratorio dell'istituto di macchine della facoltà di ingegneria dell'Università di Napoli. Anche se non strettamente attinenti ai settori di attività sopra menzionati, sono parimenti da ricordare lo studio del D’Amelio sull'utilizzazione delle pompe di calore per impieghi civili e industriali (Il riscaldamento meccanico con ciclo a vapor d'acqua e con cicli binari, memoria presentata il 14 nov. 1930 alla sez. di Napoli dell'Associazione elettrotecnica italiana) e un progetto su un impianto termico a due fluidi (La turbina a vapore ed i cicli binari con fluidi diversi dall'acqua fra le isoterme inferiori, in L'Elettrotecnica, XXIII [1936], 9, pp. 250-57; 10, pp. 286-92). Ibidem

[40] Successivamente partecipa ad un’altra Conferenza internazionale sulle nuove fonti di energia (tenuta a Roma nel 1961), in cui presenta una relazione sul tema:“Thermal machines for the conversion of solar energy into mechanical power”. Ibidem

[41] Corso di macchine: vol. I° macchine a vapore, Napoli Treves 1954; e Corso di macchine vol. II°: Macchine a combustione interna ed idrauliche, Napoli Treves 1955.

[42] L’ingegnere Camillo D’Amelio è stato un prestigioso manager dell’ENI, molto vicino a Eugenio Cefis, umanamente, oltre che professionalmente, come ci ricorda un’intervista del Corriere della Sera del 2002. È stato, fra l’altro, anche presidente del Consiglio di amministrazione della BRIGHETTO - S.p.a. Milano (29 marzo 1991); Amministratore Delegato della GPA - S.p.a (9 marzo 1993) e delle varie evoluzioni successive in GPA PADANIA - S.p.a. (8 giugno 1993) e GPA EUROPE - S.p.a. (29 dicembre 1993). Muore a Milano l’11 settembre 2018, come si evince dall’annuncio funebre sul Corriere della Sera della moglie (l’Architetto Nelly Kraus), con il fratello Mario e la nipote Serena.

[43] Carlo D'Amelio nasce a Napoli il 2 settembre 1931. Laureato in Ingegneria meccanica nel 1954 consegue nel 1967 la cattedra di Macchine presso l’Università degli Studi di Napoli. La sua copiosa attività scientifica abbraccia argomenti diversificati che vanno dal settore delle energie rinnovabili a quelli delle macchine a fluido bifase e degli impianti motori utilizzanti sorgenti termiche a basse e medie temperature. La sua dedizione all’insegnamento lo induce a pubblicare testi didattici sulle turbine a vapore e sulle turbine a gas. La naturale propensione verso gli studi di logica e di filosofia, che aveva già trovato parziale espressione nei suoi lavori sulla logica binaria, lo induce a intraprendere negli anni Ottanta studi regolari, che culminarono nella laurea in Filosofia, conseguita nel 1989 presso l’Università di Napoli, discutendo la tesi sulla cosmologia moderna tra scienza e filosofia. Il Professor Carlo D’Amelio sposa Eva De Lucia, dalla quale ha 2 figli. È scomparso nel settembre del 1995.

[44] Il Professor Enrico Sannia è stato un fine cultore di scienze umanistiche, a cavallo fra XIX e XX secolo; autore fra l’altro di: Due canti leopardiani: con un 'appendice di note ermeneutiche sopra alcuni luoghi dei "Canti", per la Tip. A. Tocco & Salvietti, Napoli 1908; e Il Comico, L'Umorismo E La Satira Nella Divina Commedia, U. Hoepli Editore, Milano 1909.

[45] Fra queste il Touring Club, come lui stesso ricorda in una lettera alla mamma del 29 febbraio 1916.

[46] In famiglia lo appellano sempre Wladimiro, mentre su tutti gli atti ufficiali appare come Vladimiro Beneventani.

[47] Con Determinazione ministeriale del 18 settembre 1917 – si legge nel Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali dell'esercito italiano e nel personale dell'amministrazione militare dell’anno 1917i militari che hanno compiuto il corso allievi ufficiali (3° obbligatorio) presso la scuola militare di Modena, sono nominati aspiranti ufficiali di complemento, arma di fanteria, e destinati al deposito per ciascuno indicato, al comando del quale dovranno presentarsi il mattino del 27 ottobre 1917. Fra questi Beneventani Vladimiro, che appartiene al Distretto di Napoli e viene assegnato al Deposito di mobilitazione dei Bersaglieri di Palermo.

[48] Finalmente ho vinto il fato – scrive entusiasticamente alla mamma in una lettera del 19 settembre 1917 – Son bersagliere. Ho superato in tre giorni tutte le gare, riuscendo fra i primi. Contento e pazzo di gioia.

[49] Anche l’epistolario con la fidanzata è intriso di tenerezza e gentilezza, ma mai banale, o scontato. Sempre imprevedibile nel suo pensiero e nelle sue esternazioni, ma sempre ben fondato nel rispetto dell’intelligenza dell’interlocutore. Il 6 novembre 1917 le scrive: …Con te mi fa piacere non toccare mai volgarità alcuna, mi fa piacere unire gli spiriti, farli vibrare insieme alle stesse toccate, agli stessi tasti musicali. Alcune lettere raggiungono un’intensità di lirismo e di poetica che davvero fanno rimpiangere anche a noi la sua prematura dipartita.

[50] …la colpa non è nostra, ma è della nostra natura buona – sosteneva in una lettera da Marostica alla mamma, il 31 maggio 1918, sottolineandone la grande bontà d’animo – quando infatti l’anima è più buona più soffre. Suprema tragica ironia della vita! Simile dolorosa esperienza la constato sempre quotidianamente su me: ogni piccolezza mi fa soffrire, soffrire come non mai in una maniera tragica, sconvolgendo tutte le mie interiori fibre, dando alla realtà aspetti cupi. Bisogna rassegnarsi a simile sofferenza, bisogna anzi per confortarsi attribuirla non alla natura umana…nella natura, come nella vita, vi sono ingiustizie latenti e palesi e ciò, credilo, mi fa soffrire.

[51] Cesare, Commentarii de bello Gallico, libro III.

[52] L’ombra di quel fratello precocemente severo si stendeva su di lui e lo avvolgeva; – aggiunge sempre il Sannia – egli lo stuzzicava, diavoletto irrequieto, lo punzecchiava, gli faceva anche qualche tiro: natura arguta sorrideva di suo fratello, sentiva vivamente e gustava la comicità che sprizza sempre dal contatto di un tipo intransigente con la realtà; ma quel fratello era in fondo il suo idolo, per quel fratello aveva un culto…e lo imitava come un maestro…

[53] Convintosi ben presto che il padre aveva la testa nelle nuvole – ricorda il Sannia – ed era per i suoi coloni un padrone troppo ideale, ragazzo ancora quindicenne, lo ammonì con uno scrollar del capo che richiamava tanti episodi precedenti: “sta in guardia; non ti lasciar mbrogliare”. Il padre rise di quella gravità da ometto, ma entro di sé dové riconoscere che il fanciullo era lui e Carlo era l’uomo, e finché lo ebbe vicino gli diede i pieni poteri; e così fin dalla prima liceale Carlo s’era sostituito interamente al padre, ne era diventato il factotum.

[54] Papà mio carissimo – scriveva da Torino il 19 febbraio 1918 – e l’avvocato artista, invece, è diventato progettista tecnico…

[55] Patria intesa davvero nel senso risorgimentale dei suoi avi, nell’accezione più nobile. Questa è la definizione che ne dà lui stesso in una lettera: “Patria sì, ma per ideali e fini ben più utili ad essa, atti a dare impulso potente agli uomini verso la strada di un benessere ignoto, e non morte ai viventi”.

[56] Valgono per tutti le parole dell’avo Giuseppe Albanese: “Io prevedo grandi sciagure, ma non per questo mi ritraggo dal posto di onore in cui mi han messo”. E lui stesso scriveva al padre, consolandolo per il forzato distacco: “…Lontani, è vero, ma sostenitori dei principi del diritto che anche i nostri antenati affermarono. Non ti pare?”

[57] Carissima mamma mia – scriveva con tono impertinente il 13 settembre 1917 – stamani ho ricevuto una lettera di una simpaticissima …vedova di 21 anni, conosciuta a Scarperia, che mi ha messo di buon umore… Anche la vedovanza in taluni casi costituisce delle novità. Non ti pare?... Ed un mese dopo: “…ho ricevuto altri capelli… ed addii…

[58] L’ode al fratello morto, insieme ad altre poesie vergate in quei giorni terribili al fronte, non fu mai spedita ai genitori, per non dare ulteriore dolore, ma ritrovata nella sua cassetta militare.

Torna al blog

Lascia un commento

Si prega di notare che, prima di essere pubblicati, i commenti devono essere approvati.