Famiglia Beneventani

Famiglia Beneventani

Riprendiamo a raccontare la storia del nostro amato borgo, spingendoci spiritualmente ed intellettualmente verso la fine delle vacanze e la ripresa delle abituali attività, nonostante la calura ed un’ostinata ed inconsueta siccità (che rende meno lussureggianti le nostre montagne!) ci tengano incollati alla flemma di questa strana estate 2021. Anche perché prima o poi il caldo finirà: “aust’ è cap r’ viern, ‘a prim’acqua  f’rnisc’ a staggion’”.

         Proviamo a farlo, pertanto, in maniera leggera (soft direbbero gli anglofoni), riprendendo il racconto delle grandi famiglie di Sasso.

         Dopo i Sasso (appunto) e i Doti (e prima di annoiarvi con la testimonianza di alcune famiglie estinte: Taurisani, Civita, Calcagno, Capano, ecc.), è doveroso, da parte nostra, soffermarsi sui fasti della Famiglia Beneventani.

 

Famiglia Beneventani

La famiglia Beneventano/i  per tutto il settecento e per la prima metà dell’ottocento è, insieme con i Doti, il nucleo più in vista e più potente tra la popolazione di Sasso.

Molto probabilmente non è originaria di Sasso, poiché non compare mai questo cognome in nessun documento del cinquecento. D’altronde il cognome stesso indica un’origine lontana dai nostri luoghi.

Il primo personaggio documentato è un Don Francesco Beneventano che nel 1661 appartiene al clero di Sasso e lo sarà sicuramente fino al 1689. Solo qualche anno prima era presente un Tonno Beneventano fra i cives particulares di Sasso.

Bisognerà però aspettare l’inizio del settecento per veder dispiegare in tutta la completezza la potenza di questa famiglia. Nel 1703 troviamo un Don Antonio Beneventano, che sarà poi arciprete intorno al 1740, quando si è aggiunto anche Don Michele Beneventano. Nel 1760 troviamo addirittura quattro sacerdoti della famiglia Beneventani (ormai i rami più ricchi hanno cambiato la “o” finale in “i”): Don Cosimo, Don Baldassarre, Don Paolo Antonio ed un altro Don Antonio, che è cantore. Nel 1790 sono sei i sacerdoti Beneventani nel clero di Sasso; ai quattro precedenti si sono aggiunti Don Francesco e Don Michelangelo che, dopo aver esercitato per diversi anni come medico, decide di abbracciare la vita ecclesiastica. Un Don Diego Beneventani, della stessa famiglia, era sacerdote a Calvello.

Nel 1819 troviamo invece solo Don Roccantonio Beneventani che sarà arciprete qualche decennio più tardi. Poi più nulla, come del resto accadde per gli altri raggi di azione di questa famiglia.

In linea con l’espansione nel clero, all’inizio del settecento i Beneventani cominciano ad occupare postazioni di prestigio anche nella vita civile.

Già intorno al 1720 l’Alfiere magnifico Paolo Beneventani, fratello di Don Antonio futuro arciprete, e di Michelangelo, dottore in utroque jure, che però vive a Roma, è a più riprese Luogotenente della Corte. Sposato con Lalla Lancieri, di una ricca famiglia di Tito, diventerà a sua volta suocero del medico Donato De Luca e del magnifico Matteo Taurisano, consolidando così la potenza della sua famiglia.

Qualche anno dopo comparirà il notaio Tommaso Beneventani che rogherà sulla piazza di Sasso dal 1733 al 1775.

Intorno al 1740 un Giuseppe Beneventano è Giudice ai Contratti.

Verso il 1745 comincia ad esercitare la professione di avvocato a Sasso Giacinto Beneventani, dottore in utroque jure e figlio di Paolo.

Un ventennio più tardi faranno la loro apparizione altri due laureati in utroque jure: Don Domenicantonio Beneventani, figlio di Giacinto, e Francesco Beneventani, figlio del notaio Tommaso e padre di quello che sarà il rappresentante più significativo di questa famiglia e di tutta l’intellighenzia sassese dell’epoca, Rocco Antonio Beneventani, di cui diremo più dettagliatamente in un ulteriore appuntamento.

La tempesta politico-sociale del 1799 investì violentemente la famiglia Beneventani, ma ne seppe risorgere con ancora più lustro e potenza, a differenza della famiglia Taurisani, che invece non riuscì più a risollevarsi.

La fiaccola della rivoluzione giacobina accese anche fra questi monti la speranza di costruire un mondo nuovo, una società in cui libertà e giustizia non fossero soggette ai capricci del feudatario locale e dei suoi accoliti.

Verso la metà di febbraio del 1799 fu piantato a Sasso l’albero della libertà, senza spargimenti di sangue o violenze di alcun genere. Capo della Municipalità fu acclamato l’avvocato Francesco Beneventano, che provvide ad emanare una serie di editti, di cui non conosciamo il contenuto. Furono incendiati i ritratti dei sovrani e di questo atto fu imputato poi il figlio dell’avvocato, quel Roccantonio Beneventano che poi a Napoli seppe costruire una lunga e luminosa carriera politica, prima con i francesi ed in seguito con gli stessi odiati Borboni.

L’albero, l’infame albero, come sarà in seguito sempre definito negli atti notarili che abbiamo ritrovato, rimase in piedi per non più di un mese, come un po’ in tutta la Basilicata, fatta eccezione per Picerno, Tito e pochi altri.

Intorno alla metà di marzo, con l’approssimarsi delle truppe realiste, la popolazione di Sasso si affrettò a recidere l’albero e a piantare la Santa Croce, simbolo dell’esercito sanfedista, fedele al sovrano [1].

“La Repubblica partenopea del 1799 – commenta amaramente Decio Albini – rappresenta una storia di superbi eroismi. I migliori cittadini suggellarono col loro sangue la loro fedeltà alla patria. Ma la grandezza dei loro sacrifici non ebbe fortuna. Il destino volle cingere la loro fronte con la corona dei martiri e non col lauro della vittoria”

Nel pur breve periodo di municipalità repubblicana si distinsero alcuni personaggi già in vista nella vita pubblica di Sasso, che ritroviamo poi inquisiti dalla Regia Udienza della provincia di Basilicata per reità di Stato. Fra questi i componenti più rappresentativi della famiglia Beneventani.

Del Dottore in utroque jure Francescantonio Beneventani e di suo figlio Rocco Antonio proveremo a tracciare un profilo biografico più dettagliato prossimamente.

Diremo ora di Don Paolo Antonio Beneventani; era Cantore della chiesa di Sasso e fratello del suddetto Dottore Francesco. Arrestato dopo la caduta della Repubblica Napoletana, usufruì dell’indulto. Nel Notamento dei Rei di Stato si legge a suo carico: “Don Paolantonio Beneventano del Sasso sparse massime repubblicane alla notizia che i Francesi avevano invaso il Regno. Sparlando della Sovranità si prestò per la piantagione dell’albero”.

Quando ormai tutto era perso e dappertutto si abbatteva la scure della reazione borbonica, i due fratelli provarono a difendersi rinnegando i trascorsi repubblicani, non sappiamo con quali risultati.

Abbiamo ritrovato un atto pubblico del 10 novembre 1799 a favore dei fratelli Dottore Don Francesco e Rev. Cantore Don Paolantonio Beneventani. [2]

Diversi cittadini testimoniano che trattasi di “…uomini esemplari di ottimi costumi, timorati di Dio e che non mai hanno causato danno a qualsivoglia persona… sempre regalisti, e sempre attaccati alla monarchia…”. Il Dottore Francesco, che all’epoca era avvocato dell’Università, e suo fratello non si opposero non perché avessero rinnegato la monarchia per aderire alla repubblica, ma solo per evitare alla popolazione di Sasso e a loro stessi le violenze dell’armata francese. Non appena il pericolo si attenuò e si ebbe notizia dell’avvicinarsi dell’Eccellentissimo Cardinale, gli stessi, insieme al sacerdote Don Michelangelo Beneventani ed al Tenente Daniele Doti diedero ordine ai mastri Michelangelo Doti e Vincenzo Cristiano di tagliare “l’infame albero”. Durante questo breve periodo fu eletto Capo della Municipalità il Dottore Francesco, ma solo per la sua notoria probità, ed ebbe cura di non fare alcun proclama scritto o verbale contro la monarchia. Fece affiggere solo sei o sette capi di legge scritti che intimavano alla popolazione di non abbandonarsi a violenze e ruberie contro persone o cose. E così in effetti fu. Solo un giorno erano venuti alcuni forestieri per tentare di sollevare la popolazione contro questa municipalità, al fine di eleggerne un’altra più esplicitamente filo-repubblicana, ma furono scacciati. A marzo fu tagliato l’albero e piantata la Santa Croce. Ci fu, è vero, un episodio abbastanza grave: una mattina si trovarono incendiati i ritratti dei sovrani, ma, a detta dei cittadini convenuti per l’atto, sembrerebbe più essere coinvolto, seppur involontariamente, il figlio del Dottore Francesco, Roccantonio Beneventani.

Nelle stesse vicende fu coinvolto anche Don Michelangelo Beneventano; era stato, fino al 1790 circa, stimato medico della comunità sassese; ebbe in seguito la vocazione ed era all’epoca della rivoluzione sacerdote. [3] Arrestato dopo la caduta della Repubblica Napoletana, usufruì dell’indulto. Nel Notamento dei Rei di Stato si legge a suo carico: “D. Michelangelo Beneventano, Sacerdote del Sasso, alla notizia che i Francesi avevano preso Napoli insinuò massime sediziose sparlando della Sovranità. Indi fu impegnatissimo per la piantagione dell’albero”.

Anche lui, come i fratelli Beneventani precedentemente citati, tentò, soffocata ormai nel sangue la Rivoluzione, di salvarsi dalla reazione borbonica.

Abbiamo trovato un atto pubblico del 6 novembre 1799, in cui più persone, fra cui i sacerdoti Don Vincenzo Santangelo e Don Michele Giurato, l’accolito Francesco Rotundo e il Dottore Fisico Don Pascale Doti, si pronunciano a favore del Rev. Don Michelangelo Beneventani. “Dal principio della rivoluzione e dell’infame Repubblica è stato sempre regalista e contrario alli repubblicani, né mai si è a quelli insociato in menomio eccesso da loro commesso, ma sempre si è opposto ai loro pravi disegni, né è intervenuto alla piantata dell’infame albero… e quantunque fu eletto ed acclamato dalla popolazione per Sindaco… egli però non volle accettare tale carica, né consegnarsi né suggello, né librone, né denaro dell’Università…” [4].

Ancora della stessa famiglia risulta coinvolto Beneventano Cono Luigi, che nel 1799 aderì al movimento repubblicano e, dopo la caduta della Repubblica usufruì dell’indulto.

Tommaso Pedio riporta che nel Notamento dei Rei di Stato si legge a suo carico: “D. Luigi Cono del Sasso, alla notizia dell’avvicinamento de’ Francesi seminò massime sediziose, sparlando della Sovranità. Ebbe premura per la piantagione dell’albero.”. [5] In realtà Il Pedio viene indotto in errore probabilmente da un’omissione o una cattiva trascrizione nel Notamento dei rei di Stato, facendogli credere Cono il cognome. In effetti all’Archivio di Stato di Napoli è rintracciabile il nome per intero come Beneventano Cono Luigi.

 Fra le Carte dei Rei di Stato, fasc. 202 (Rei di basilicata) si legge: “Sasso – vol. primo, de expressionibus seditionis in Terrae Saxi prolatis ac maledictis in regem nostrum Ferdinandum contro D. Roccantonio, D. Luigi Cono e D. Francesco Beneventani ed altri rubricati con diverse rubriche di c. s., n° 73” e ancora al fasc. 265 (Mappe dei Rei di Stato) dal quale si evince che agli stessi il 7 febbraio 1700 furono sequestrati i beni, dissequestrati poi nello stesso mese.

Da un atto pubblico del 4 settembre 1798, rogato dal notaio Francesco Antonio De Luca, apprendiamo che Cono Luigi, di anni 18, era il primo dei 5 figli del Dottore in utroque Jure Don Domenicantonio Beneventani (a sua volta figlio del dottore in utroque jure Giacinto Beneventani, figlio dell’alfiere Paolo) e per una controversa decisione dell’allora Governatore del Sasso, viene esentato dalla leva del miliziotto, su istanza della famiglia, poiché impegnato a Napoli nell’Accademia Reale. [6]

Verosimilmente è un altro dei figli dell’avvocato Domenicantonio Beneventani (e di Angela Coletti) quel Francesco Beneventani, che aveva intrapreso la carriera militare, si era trasferito a Napoli in Via dell’Infrascata n°268, Circondario dell’Avvocata, ed andò a morire a soli 21 anni nell’Ospedale della Guardia Reale, il 16 febbraio 1812.[7]

Nel secolo successivo, nonostante le vicissitudini politiche ed economiche successive ai fatti del ’99, la saga dei Beneventani a Sasso continua con Nicola Beneventani, figlio di Domenicantonio, avvocato e per tanto tempo sindaco del paese, e Giuseppe Beneventani, fratello del più noto Rocco Antonio, e sindaco anch’egli a più riprese.

A Napoli visse nella prima metà dell’Ottocento Michele Beneventano: era Sergente del Terzo Reggimento della Guardia Cacciatori. Morì ancora giovane, il 9 giugno 1861 nell’Ospedale dei Santi Apostoli di Napoli.[8]

Nella seconda metà dell’ottocento, come per i Doti ed i Taurisani, il vento dell’Italia Unita sembra spazzare via i rami più rappresentativi di questa famiglia: restano solo Giovanni, figlio di Nicola e Francescantonio, figlio di Giuseppe, ma come semplici proprietari terrieri, ben lontani dal prestigio dei cugini Valerio, per tanti anni deputato nel parlamento italiano, ed Emilio, consigliere comunale nella Napoli post-unitaria, che però con Sasso non hanno più nulla a che vedere.

Alcuni portali, uno del 1733 sulla casa natia di Rocco Beneventani, nell’omonima strada, ed altri dell’ottocento in Via S. Nicola ed in Via S. Rocco restano a testimonianza dell’antico splendore di questa famiglia.

Dalla seconda metà dell’ottocento dunque rimasero a Sasso solo i rami meno abbienti, quelli con la “o” finale. E da questi ebbe origine, nella seconda metà del novecento, Domenico (Mimmo) Beneventano, figlio grande e sfortunato di questa terra, medico e poeta, politico passionale e carismatico, di animo eccelso e di umanità immensa, martire della libertà e della giustizia, caduto a soli 32 anni, il 7 novembre 1980, qualche giorno prima del terribile terremoto, ad Ottaviano, sotto il fuoco della camorra, che vedeva in lui, nelle sue parole, nei suoi scritti e, soprattutto, nel suo esempio, un ostacolo irriducibile per i propri criminali disegni.

Ora riposa nel cimitero di Sasso, come aveva chiesto in una sua poesia, ed il sorriso magnetico e coinvolgente impresso su quella tomba sembra trasbordare ed inondare ancora l’animo di chi l’ha conosciuto e di chi osserva quell’immagine per la prima volta, capace ancora di consolare e rassicurare deboli ed infelici e di squarciare le coscienze di meschini e prepotenti.

Io non so se ci sono stati altri che hanno amato con tanta intensità e sincerità questa terra come quest’uomo; di certo la sua morte rappresenta l’estremo suggello ad un destino incompiuto di questa terra e dei suoi figli, che più e più volte hanno provato ad alzarsi in piedi ed altrettante volte la storia ha ributtato in ginocchio.

 

 

[1] D. Albini, I Deputati al Parlamento Napoletano. 1848-1849,  Roma 1922, p 7.

[2] Archivio di Stato di Potenza. Atti Notarili. Distretto di Potenza. II° Versamento. Notaio Francesco Antonio De Luca. Vol. 556. Anno 1799. C. 22, C. 23, C. 24 V.

[3] Pedio, che non è al corrente di questa crisi vocazionale, avvisa: “…da non confondere con il suo omonimo e contemporaneo dottore fisico…”; T. Pedio Uomini aspirazioni e contrasti …,citato, p 298.

[4] Archivio di Stato di Potenza. Atti Notarili. Distretto di Potenza. II° Versamento. Notaio Francesco Antonio De Luca. Vol. 556. Anno 1799. C. 20 V, C. 21.

[5] T. Pedio Uomini aspirazioni e contrasti …, citato, p 299.

[6] Nello stesso atto si afferma che il Governatore Don Nicola Maria Pisani ha escluso dai doveri della leva di miliziotto anche l’intera famiglia del Dottore (in utroque jure) Don Francesco Beneventani. Archivio di Stato di Potenza. Atti Notarili. Distretto di Potenza. II° Versamento. Notaio Francesco Antonio De Luca. Vol. 556. Anno 1798. C. 30.

[7] ASN. Atti di morte, anno 1812.

[8] Viveva nel Quartiere di Pizzofalcone. Era nato a Sasso nel 1817, da Saverio e Carmina Di Mare. L’11 giugno 1851 sposò l’ormai attempata (39 anni) Maria Rosa Piscitelli, di Santa Maria a Vico in Caserta.

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